
Negli ultimi mesi, YouTube ha apportato una modifica silenziosa – ma significativa – alla sua policy contro i discorsi d’odio.
Tra il 25 gennaio e il 7 febbraio di quest’anno, la piattaforma ha eliminato dal proprio regolamento la dicitura “identità ed espressione di genere” dall’elenco dei gruppi protetti da contenuti discriminatori.
Una modifica avvenuta senza alcun annuncio pubblico, che ha scatenato indignazione tra attivisti, creator e membri della comunità LGBTQ+, scrive Taylor Lorenz sulla sua newsletter User Mag.
La policy di YouTube vieta contenuti che incitano all’odio o alla violenza nei confronti di individui per motivi legati a etnia, religione, disabilità, nazionalità o status di veterano.
Fino a poco tempo fa, anche l’identità ed espressione di genere figuravano tra le categorie tutelate.
Oggi, però, è stata rimossa.
Parole, parole, parole
Secondo YouTube, la modifica è solo un aggiornamento testuale e non cambia l’applicazione pratica della policy, che – a detta della piattaforma – continua a proibire l’odio basato su “sesso, genere o orientamento sessuale”.
Tuttavia, molte voci critiche sostengono che la distinzione tra “genere” e “identità di genere” sia sostanziale, e che questa scelta rischia di lasciare scoperte le persone transgender e non binarie.
“Rimuovere silenziosamente identità ed espressione di genere dalla lista dei gruppi protetti è un cambio di rotta pericoloso e in contrasto con le migliori pratiche nel campo della moderazione dei contenuti,” ha detto a Lorenz un portavoce di Glaad, un’organizzazione statunitense per la tutela di diritti LGBTQ+ nell’ambito dell’informazione.
“Lo status del gruppo protetto è solo una forma di malattia mentale che va curata”.
Affermazioni di questo tipo, seppur presentate come esempio di frasi d’odio da evitare, non risultano più visibili nella sezione ufficiale dedicata.

La sede di Google a Mountain View, in California. Foto: Flickr.
Non solo YouTube
Questo cambiamento di policy si inserisce in un contesto più ampio di progressiva rimozione di riferimenti all’identità da parte di grandi aziende tecnologiche.
A metà 2024, ad esempio, Google – proprietaria della piattaforma video – ha eliminato dal suo calendario pubblico diverse ricorrenze identitarie, come il Pride Month, il Black History Month, il mese del patrimonio ebraico-americano e la Giornata della Memoria.
Il gruppo di Mountain View è tra le società ad avere rivisto i propri programmi di diversità, equità e inclusione – la cosiddetta DEI – a seguito della rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca e alle sue pressioni per smantellare le politiche inclusive anche nel settore privato.
Per molti osservatori, queste scelte rappresentano un preoccupante arretramento nei confronti della visibilità e tutela delle minoranze.
Una policy si valuta dalla sua applicazione, ma le parole che la compongono esprimono in maniera esplicita cosa – e soprattutto chi – si sceglie davvero di proteggere.