
Ottantatré anni dopo la sua nascita, Voice of America è stata chiusa dal suo stesso fondatore: il governo degli Stati Uniti. La radio era stata creata nel 1942 per contrastare la propaganda nazista nelle aree europee occupate dal Terzo Reich. Negli anni ’50, sono state lanciate delle emittenti affiliate, come Radio Free Europe/Radio Liberty e Radio Free Asia, che trasmettevano, fra gli altri Paesi, in Unione Sovietica e in Cina.
E proprio a Pechino ora festeggiano la fine – almeno temporanea – di uno degli strumenti più longevi e importanti del soft power statunitense, che nel corso dei decenni ha rappresentato un viatico fondamentale per diffondere la libera informazione in Paesi con poca o nessuna libertà d’espressione.
“Voice of America è stata bloccata! Così come Radio Free Asia, altrettanto ostile nei confronti della Cina. Che soddisfazione!”, ha scritto Hu Xijin, ex direttore del quotidiano di Stato di Pechino Global Times, su Weibo, la versione cinese di TikTok. Lo ha riportato la Cnn.

La sede di Radio Free Europe/RadioLiberty a Praga, in Repubblica Ceca. Foto: Wikimedia Commons.
I fatti
Venerdì sera, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che ha tagliato i fondi alla US Agency for Global Media, l’agenzia federale responsabile delle attività di Voice of America e delle testate sorelle, di fatto chiudendole.
Un esito diverso rispetto a quello prospettato da Kari Lake, un’ex conduttrice televisiva sostenitrice dell’attuale amministrazione americana, indicata da Trump come prossima direttrice della rete e, nel frattempo, nominata consulente speciale dell’organizzazione.
Lake, la cui direzione deve essere approvata da un consiglio bipartisan che supervisiona la Usagm, aveva in programma di riorganizzare la testata e cambiarne la linea editoriale.
I piani di Trump, però, hanno preceduto anche i movimenti della prossima direttrice, scelta da lui stesso: smantellare Voice of America.
Il direttore uscente, Michael Abramowitz, che solo due settimane fa aveva detto alla redazione di ricoprire ormai il ruolo “ad interim“, in attesa della nomina di Lake, sabato ha scritto sui suoi profili social di essere stato messo in congedo insieme a tutti i dipendenti della testata, oltre 1.300 persone.
Secondo l’ultimo rapporto presentato al congresso, sottolinea il Guardian, all’interno dell’Usagm lavoravano in totale circa 3.500 persone, con un budget di 886 milioni di euro.
Brindisi a Pechino
Diverse testate, dalla Cnn al Guardian, hanno sottolineato le reazioni entusiaste del regime di Pechino alla notizia.
Un influencer vicino al governo cinese ha definito “davvero gratificante” la mossa dell’amministrazione statunitense, mentre un editoriale del Global Times ha festeggiato la chiusura della “fabbrica delle menzogne”.
In particolare, il quotidiano ha sottolineato come Voice of America sia stata responsabile di aver promosso narrazioni false sui rapporti cinesi con Taiwan e Honk Kong, la pandemia di Covid-19 e il recente rallentamento dell’economia del Paese.
L’emittente affiliata Radio Free Asia – omonima di un’operazione di propaganda anticomunista lanciata dalla Cia negli anni ’50 – è stata fondata nel 1996, trasmette in inglese, cinese, uiguro e tibetano e ha sempre prestato particolare attenzione ai diritti delle minoranze etniche sottoposte alla dittatura repressiva di Pechino.
Il suo direttore, Bay Fang, ha definito la decisione di Washington “un regalo a dittatori e despoti”. Fra questi, c’è proprio “il partito comunista cinese, che non potrebbe desiderare niente di meglio che espandere senza ostacoli la propria influenza sull’informazione”.
Nel suo post, Hu Xijin sostiene che “i cinesi sono più che felici di vedere la roccaforte ideologica anti-cinese dell’America sgretolarsi dall’interno”.
Brian Padden, corrispondente di Voice Of America, ha definito “oltraggiose” le dichiarazioni di Elon Musk, che ha accusato l’emittente di propaganda anti-americana.
“Nel corso della mia carriera mi hanno sparato, picchiato e ho rischiato di venire decapitato a causa dell’esplosione di un elicottero nell’Est dell’Ucraina. Nel 2014”, ha aggiunto, “sono stato minacciato da attività e militanti filo-russi, che accusavano me e la mia troupe di Voa di essere agenti della propaganda filo-americana”.