Qualche giorno fa, Vittorio Feltri dalle colonne de Il Giornale rispondendo alla lettera di un lettore titolava: “Tra Vannacci e Salis non c’è partita”, provando a spiegare come curriculum, vicende personali e, in un qual senso, notorietà dei due candidati-testimonial scelti da Salvini e Bonelli per le prossime Europee siano molto diversi non solo in termini di valori, ma soprattutto in termini di resa.
In realtà il tema dei candidati-testimonial o, come si direbbe oggi, influencer è un tema che affonda le radici agli albori della comunicazione politica.
Nel nostro libro “Chi mi ama mi voti” edito per Guerini e Associati abbiamo provato a raccontare la politica vista con gli occhi del marketing e viceversa; nel testo approfondiamo anche le logiche di contaminazione tra “personaggi famosi” e schieramenti politici; quali vantaggi possono dare reciprocamente l’uno all’altro e quali sono invece i rischi da evitare.
“Legarsi a un testimonial o influencer che dir si voglia è un matrimonio molto difficile. Bisogna valutare scrupolosamente i valori e la narrativa del personaggio a cui ci affidiamo, ma anche costruire progetti di comunicazione che siano saldi, veri e non solo verosimili. Non potremo mai prevedere le azioni future dei nostri ambasciatori, ma dobbiamo certamente ridurre i rischi di incoerenza o di crisi, studiandone il profilo e l’affinità con il nostro brand (o partito) in maniera dettagliata”
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“Un messaggio autentico, potente e credibile funziona meglio di volti posticci abbinati a brand, partiti, servizi. I simboli sono importanti, ma è ancora più importante che siano credibili rispetto alle storie che vogliamo raccontare e soprattutto che abbiano qualcosa da simboleggiare.”
Nella fattispecie, Ilaria Salis rappresenta un deja vu per Angelo Bonelli, che ha già battuto la strada del candidato testimonial con Aboubakar Soumahoro e Ilaria Cucchi e ora ci riprova con l’insegnante brianzola con l’obbiettivo, neppure troppo celato, di superare lo sbarramento grazie al clamore mediatico che la sua vicenda ha suscitato.
Non è molto diversa la storia dell’alleanza di scopo tra Salvini e Vannacci. Il Generale che ha sbancato il box office librario e che promette di portare in dote molti voti al Segretario della Lega viene candidato nonostante i mal di pancia che sta creando all’interno del partito del leader Leghista.
Ancora una volta l’obbiettivo è quello di capitalizzare il consenso a fronte di una tornata elettorale molto serrata in cui ognuno deve alzare il suo vessillo per farsi notare.
Difficile fare pronostici in tema di risultati elettorali, certamente ha ragione Vittorio Feltri nel dire che Vannacci rappresenta un aggregatore di consenso sicuramente maggiore di quello della Salis, ma il tema vero che Feltri non cita è che non basta contare le teste, ma bisogna identificarle; capire quanto quel consenso sia coerente con il posizionamento del brand Lega in un caso e dei Verdi nell’altro.
Le istanze autonomiste, federaliste della Lega sono rappresentate correttamente da Vannacci? Un nuovo risorgimento green è quello che gli elettori verdi si aspettano possa portare Ilaria Salis?
Eventuali nuovi flussi elettorali in entrata a sfavore di elettori più core che potrebbero non riconoscersi in questi due volti rischiano di corrodere l’identità di marca dei due movimenti e di ridurne il consenso di lungo periodo.