
L’avvenire è dei curiosi di professione.
L’ha detto François Truffaut, o meglio l’ha fatto dire, in una delle sue pellicole più riuscite, Jules e Jim, del 1962.
Jim è giovane, indeciso, il suo futuro è in bianco e nero come lo schermo che l’ha reso immortale.
“Può fare il curioso” gli suggerisce il professor Sorel, a dire che il domani è a portata di chi, allo sciorinare risposte, preferisce il seminare domande.
Se esiste una definizione di giornalista, forse è proprio questa: un curioso di professione. E alla curiosità ci si educa, la si pratica nell’andirivieni delle incombenze quotidiane. A partire dai banchi di scuola.
L’Italia del giornalismo scolastico
La tradizione del giornalismo scolastico, in Italia, affonda le radici nel riassetto del sistema didattico all’indomani dell’unificazione del Paese, anticipato dalla legge Casati del 1859.
Le scuole sono chiamate a un’opera di sensibilizzazione epocale: instillare nelle nuove generazioni il senso di appartenenza a un popolo neonato, con una propria omogeneità culturale e di valori.
Gli istituti più ricettivi, spesso i più attivi in questa campagna di proselitismo laico, sono i collegi d’ispirazione cattolica.
Proprio in uno di questi, a Villa Mondragone, nella provincia romana, si porta avanti una delle prime esperienze di giornalismo scolastico italiano, il Mondragone, datato 1866 e stampato fino al 1953.
Di realtà simili, però, l’Italia di fine Ottocento è ricca.
In pochi decenni i periodici studenteschi proliferano – La Ricreazione, Il Conforto, Il Pavone, Caramba, solo per citare i più noti – e offrono spazi di pacifico disallineamento: sono fucine del pensiero critico, in cui verve goliardica e vena polemica muovono guerra all’austerità delle aule religiose e dei dettami calati dall’alto.

Foto: Canva.
La zona d’ombra
Nel secondo dopoguerra il giornalismo scolastico è ormai una prassi e non solo nell’ambiente didattico di matrice cattolica.
Le scuole statali fondano testate e il fenomeno inizia a farsi trasversale in senso anagrafico: non più solo gli adolescenti, i liceali, ma anche gli studenti delle elementari scrivono, redigono, illustrano, informano.
È una parabola carsica, quella del giornalismo scolastico in Italia.
Segue l’evoluzione della stampa tradizionale, ne condivide le transizioni e le sfide, dall’avvento di Internet alla digitalizzazione del mondo dei media, con l’imporsi dei ritmi e dei linguaggi dei social prima e dell’intelligenza artificiale poi.
Sopravvive però in una zona d’ombra, lontana dal censito e dal raccontato. I dati sono pochi e, a oggi, non esistono studi sistematici sull’argomento.
Eppure, le redazioni scolastiche sono più vive che mai.

La redazione del Giornalotto, composta dagli studenti del liceo Alessandro Volta di Milano. Foto e diritti concessi dal liceo Alessandro Volta.
Il Giornalotto del liceo Volta
È venerdì pomeriggio, e i corridoi del liceo Alessandro Volta di Milano tacciono.
L’eco di un chiacchiericcio si alza da dietro la porta di un’aula al secondo piano: è in corso la riunione di redazione del Giornalotto, la testata di casa Volta, un periodico studentesco dalla storia più che ventennale.
Dire redazione non è approssimare per eccesso.
Sono una trentina le voci che si avvicendano nell’ideazione e costruzione collettiva di ogni numero del giornale, tra direttori, correttori e correttrici di bozze, impaginatori, illustratori e collaboratori occasionali.
“Tutti, dal primo all’ultimo anno, possono scrivere sul Giornalotto” – racconta Ilaria Ingrassia, 17 anni, una delle direttrici editoriali.
“Gli studenti scelgono il tema a seconda di cosa li appassiona o li muove, e ci inviano i loro contributi ogni mese”.
“Tra noi c’è chi legge, chi dà una sistemata al testo e chi lo mette in pagina. Il Giornalotto è uno spazio di libertà espressiva, indipendente dai professori e autogestito, ma anche uno strumento di responsabilizzazione: si favoriscono il confronto e la reciprocità nel rispetto dei ruoli e delle competenze”.
Un simulatore delle dinamiche proprie del mondo del lavoro? “Anche. Ma soprattutto un veicolo di informazioni a misura di studente”, fa eco Andrea Inverardi, 18 anni, l’altro direttore.
“Il giornale catalizza gli interessi e gli umori tra le classi, cosa ci colpisce dentro e fuori le mura del Volta. È una cartina tornasole del nostro mondo. Se succede qualcosa, raccontarlo sul Giornalotto innesca una riflessione condivisa”.
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A tempo di reel
E i social, in questo ricircolo virtuoso di idee e storie, contano molto.
Se la versione cartacea del giornale è letta da quasi “tre quarti degli studenti”, la sua pagina Instagram è visitata quotidianamente.
“La nostra è una generazione digitale: è raro che qualcuno si informi sulla carta”, dice Ingrassia.
“I social non sono da demonizzare, ma da approcciare in modo consapevole. Chi li frequenta spesso sa dove trovare notizie attendibili e spunti interessanti. Seguiamo le pagine dei quotidiani, di redazioni indipendenti – la più seguita è Scomodo – e cerchiamo di diversificare tra le fonti”.
In questo processo, gli influencer hanno cambiato le regole del gioco.
Più che cercare una notizia, si cerca chi la riporta. E gli si dà fiducia, annoverando il suo profilo tra le fonti attendibili.
Tiktok, in questo senso, ha rivoluzionato le modalità di fruizione dell’informazione e riplasmato il concetto stesso di notiziabilità.
“Se devo cercare qualcosa, lo faccio direttamente da lì”, conclude Ingrassia.
“È un po’ come se fosse Google 2.0, con i reel al posto degli articoli scritti. I video sono più brevi, e il costo in termini di attenzione è ridotto”.
“Con le recensioni, per esempio, funziona alla grande: devo mangiare fuori? Guardo un video di chi, in quel ristorante, ci è stato e ha voluto raccontare la sua esperienza. Cosa c’è di diverso da Google Maps?”.