
La versione originale di questo articolo è stata pubblicata in lingua inglese dallo stesso autore il 20 marzo 2025.
Domenica 16 marzo è stato il primo giorno, in 83 anni di storia, in cui i canali in 49 lingue diverse di Voice of America non hanno pubblicato nulla.
Lo scorso weekend sarà ricordato come quello della chiusura – almeno temporanea – della testata.
“Credo che questa sia la fine”, dice a Mediatrends un corrispondente di Voice of America negli Stati Uniti che ha chiesto di restare anonimo per parlare liberamente.
“L’organizzazione si sta muovendo per iniziare diverse battaglie legali e ci vorranno anni. Sarà una causa molto lunga e forse, alla fine, la rete riuscirà a spuntarla. Ma probabilmente troppo tardi per salvarsi”.
È infatti plausibile pensare che la via più breve per tornare operativi sia addirittura “aspettare la vittoria di un democratico alle elezioni presidenziali del 2028”.
A quel punto, molti dei 1.300 dipendenti e collaboratori della testata si sarebbero già trasferiti altrove e la rete riaprirebbe con un personale decimato e una credibilità da ricostruire da zero.
Nel frattempo, quelle stesse persone sono state messe in congedo a seguito di un ordine esecutivo firmato venerdì sera dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha tagliato i fondi della US Agency for Global Media, l’agenzia federale che controlla Voice of America.

La storica sede di Voice of America a Washington DC. Lo scorso anno l’Usagm e Voice of America hanno spostato le proprie sedi in un nuovo edificio al 1875 di Pennsylvania Avenue, nella stessa città. Foto: Flickr.
Fine della storia
L’emittente è stata creata nel 1942 su volere del presidente democratico Franklin Delano Roosevelt, con la fondazione dell’Office of the Coordinator of Information, ente governativo che supervisionava l’Office of the War Information. Quest’ultima è l’agenzia che ha creato Voice of America.
Il suo scopo era contrastare la propaganda delle potenze dell’Asse, Germania nazista, l’Italia fascista e Giappone imperiale, attraverso attività di contro-informazione radiofonica nelle aree occupate.
Mentre l’Owi è stata smantellata nel 1946 dal presidente Harry Truman, Voice of America ha continuato a operare sotto la supervisione, dal 1953 al 1999, di una nuova agenzia governativa, la US Information Agency.
Negli anni ’50 è stata affiancata da emittenti sorelle, in primo luogo Radio Free Europe/Radio Liberty nell’Europa orientale occupata dall’Unione Sovietica.
Nel 1996, poi, è stata aggiunta anche la branca Radio Free Asia – omonima di un’operazione di propaganda anticomunista lanciata dalla Cia nei primi anni ’50 -, con trasmissioni in inglese, cinese, uiguro e tibetano e un’attenzione particolare ai diritti delle minoranze etniche sottoposte alla dittatura di Pechino.

La sede di Radio Free Europe/Radio Liberty a Praga, in Repubblica Ceca. Foto: Wikimedia Commons.
In modo simile al Bbc World Service britannico, Voice of America ha diffuso per oltre 80 anni libera informazione in Stati autoritari e ha rappresentato un veicolo fondamentale di public diplomacy, ossia le attività, in primo luogo comunicative, destinate a promuovere un’immagine positiva di un Paese nelle opinioni pubbliche all’estero.
Accanto a quella tradizionale, la diplomazia pubblica è il canale attraverso cui si esercita il soft power, in questo caso statunitense.
Nel caso di Voice of America, in particolare dal secondo dopoguerra in poi, l’emittente è stata una voce dell’informazione libera, capace di portare i valori della liberal-democrazia occidentale dentro le case dei cittadini in luoghi come l’Unione Sovietica, la Cina e l’Iran.
“Oggi le dittature festeggiano, dalla Russia alla Cina e a Cuba. In alcuni Paesi, come l’Iran, siamo l’unica fonte oggettiva”, sottolinea il corrispondente.
“Voice of America è passata attraverso la seconda guerra mondiale, la guerra fredda, l’11 settembre e la pandemia. Nessuno di questi eventi storici hanno fermato il suo lavoro. Trump è arrivato dove nemmeno i cataclismi erano riusciti”.
Fuori tutti
La fine improvvisa di Voice of America porterà conseguenze pesanti sulle 1.300 persone che lavorano per la rete.
Il personale si divide in contractor – collaboratori esterni a contratto ma impiegati in modo continuativo – e dipendenti federali.
“Il rapporto con i contractor terminerà a fine mese. I dipendenti, che possono contare sulle tutele sindacali, rimangono invece congelati”, spiega il giornalista dell’emittente. “Ma la prospettiva, in ogni caso, è quella di licenziare quasi tutto il personale”.
In un approfondimento sul Columbia Journalism Review, il cronista di Voice of America Liam Scott ha scritto che decine di dipendenti della redazione di Washington sono negli Stati Uniti grazie a un visto J-1.
Si tratta di un visto riservato, fra gli altri, a giornalisti stranieri provenienti da Paesi senza libertà di stampa, che vivono negli Stati Uniti nell’ambito di un programma governativo di scambio culturale.
Per queste persone, la cessazione del rapporto di lavoro significa dover rientrare in Stati dove rischiano il carcere in quanto considerati oppositori politici.
“Alcuni colleghi dovranno tornare in Iran, in Myanmar, in Indonesia, in Cina. Persone che rischiano di finire in prigione o essere uccise”, ribadisce il corrispondente.
Oltre ai casi più gravi, aggiunge, c’è chi, dopo il licenziamento, rischia di rimanere senza lavoro a causa dell’età.
“A un nostro collaboratore di 60 anni rimane un anno e mezzo per andare in pensione. Mi ha detto: ‘Chi può riassumermi a questa età? Con quali soldi riuscirò ad arrivare a 62 anni?’. È disperato”.

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, in una riunione con il suo gabinetto. Foto: Wikimedia Commons.
Catena di comando
L’Usagm, agenzia governativa istituita da una legge del Congresso del 1994 e attiva dal 1999 al 2018 con il nome di Broadcasting Board of Governors, controlla direttamente Voice of America – anch’essa inquadrata come entità federale.
Anche Radio Free Europe/Radio Liberty, Radio Free Asia e il conglomerato Middle East Broadcasting Networks in Medio Oriente – pur essendo organizzazioni private no-profit – dipendono dall’Usagm per il loro finanziamento.
Ogni anno, infatti, il Congresso stanzia i fondi destinati a queste emittenti, risorse che poi vengono gestite dall’Usagm.
Senza questi finanziamenti, nessuna di loro può sopravvivere.
Come ha evidenziato Scott, in teoria un ordine esecutivo presidenziale non può smantellare l’Usagm, costituita tramite atto legislativo.
Nei fatti, però, è successo proprio questo. La Casa Bianca ha revocato i fondi, condannando le emittenti.
Trump aveva già provato a intervenire sull’operato di Voice of America nel 2020, con la nomina ad amministratore delegato dell’Usagm del documentarista conservatore Michael Pack.
Come riporta un’indagine federale, Pack ha abusato del suo ruolo per condizionare la linea editoriale delle testate e sanzionare i dirigenti che non attuavano i suoi ordini.
Nei sette mesi in cui ha amministrato l’agenzia, l’ex Ad ha cercato di attuare quello che poi è stato scritto nella sezione dedicata ai media di Project 2025 – considerato uno dei manifesti ideologici della campagna elettorale di Trump lo scorso anno: smantellare il firewall, il meccanismo che garantisce l’indipendenza editoriale di Voice of America da qualsiasi ingerenza politica, sia del governo sia vertici dell’Usagm.

Una rappresentazione grafica del firewall di Voice of America. Immagine: sito di Voice of America.
Se non puoi cambiarli, chiudili
“Nel 2020, Trump non aveva la determinazione e la competenza che ha dimostrato dopo quattro anni di preparazione”, conferma il reporter della testata.
Eppure, aggiunge, “sia l’amministrazione sia Kari Lake, nominata special advisor dell’Usagm, hanno cambiato narrativa rispetto a febbraio, quando ancora dicevano di voler cambiare la testata, non toglierla di mezzo”.
Uno dei tentativi più evidenti di questa prima fase in cui l’obiettivo era rendere la linea editoriale di Voice of America, considerata troppo critica di Trump, è stata la sospensione del caporedattore Steven Herman.
Herman è stato messo in “assenza giustificata” per aver citato in un post su X le critiche del presidente di Democracy Forward, un’organizzazione no-profit, nei confronti della decisione di smantellare l’Usaid – l’Agenzia per lo sviluppo internazionale.
In un mese è cambiato tutto. “Quando hanno capito che non potevano cambiarci, hanno deciso di chiuderci”.
MUST SEE: America, how do you feel about leasing a fancy Washington DC high-rise for a quarter of $1 billion?
That’s exactly what the last administration did at the US Agency for Global Media.@KariLake exposes waste & corruption, and will work to root it out.
WATCH & SHARE!… pic.twitter.com/8Zs5XhKV3I
— Kari Lake (@KariLake) March 14, 2025
Motivazioni e contromosse
Per giustificare la propria decisione, la Casa Bianca ha pubblicato una nota elencando dieci episodi che dimostrerebbero come Voice of America fosse diventata uno strumento di “propaganda radicale”.
Tra i vari punti, si sostiene che i vertici della testata avessero impedito ai giornalisti di definire Hamas e i suoi membri come terroristi e che la linea editoriale si fosse spostata a sinistra nel corso degli anni.
Come ha spiegato il Washington Post, analizzandole una per una, si tratta di dieci accuse false, infondate o basate su semplici articoli criticati in modo fazioso da figure vicine all’amministrazione.
A prescindere dalle motivazioni di natura editoriale, nella battaglia legale che si prospetta all’orizzonte, l’Usagm e Voice of America potrebbero fare leva su eventuali irregolarità commesse nelle procedure adottate per smantellarle.
“La lettera di cessazione inviata ai contractor contiene degli errori”, dice il giornalista della testata. “È stata mandata il 18 marzo ma reca la data del 17 e non rispetta i 15 giorni di anticipo che ci spetterebbero per contratto”.
Una questione dirimente riguarda la legittimità dell’esecutivo nel modificare decisioni già approvate dal Congresso in materia di spesa pubblica, competenza esclusiva dell’organo legislativo.
Un altro elemento da valutare è il ruolo di Kari Lake e del Dipartimento per l’Efficienza guidato da Elon Musk, aggiunge il giornalista di Voice of America.
Qualora fosse dimostrato che l’ordine esecutivo fosse stato influenzato da pressioni politiche esterne in contrasto con l’indipendenza editoriale garantita dallo statuto della testata e si accertassero vizi di legittimità procedurale legati all’intrusione di soggetti privi di autorità formale, “sarebbe scacco matto”.