
La versione originale di questo articolo è stata pubblicata in lingua inglese dallo stesso autore il 15 marzo 2025.
Jeffrey Funk non condivide l’opinione diffusa che l’IA stia già cambiando il mondo. Perlomeno, non con il grado di sviluppo che i large language model hanno raggiunto finora.
Funk è un consulente in ambito tecnologico ed ex professore alla Pennsylvania State University negli Stati Uniti, la Kobe University in Giappone e la National University di Singapore, dove vive.
Ha alle spalle una carriera di 40 anni, 25 dei quali trascorsi nel mondo accademico.
Nel corso degli anni ha collaborato con diverse aziende e startup e studiato alcune dei cambiamenti più importanti degli ultimi tre decenni, fra cui la bolla delle dot-com e la nascita degli smartphone in Giappone tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000. Il suo ultimo libro critica le bolle degli investimenti dei venture capital.

L’ultimo libro di Jeffrey Funk, “Unicorns, Hype and Bubbles: A guide to spotting, avoiding and exploiting investment bubbles in tech,” è stato pubblicato lo scorso ottobre.
“Ci stanno dicendo che tutto sta cambiando già ora, non che cambierà nei prossimi anni”, dice Funk a Mediatrends. “L’aumento della capitalizzazione delle società di IA deriva dalle grandi aspettative di profitto per molte aziende, grazie alla rivoluzione dell’intelligenza artificiale. Ma è davvero questa la situazione?”
Eppure, ogni volta che un’azienda di IA generale lancia un nuovo modello, viene annunciato come se fosse un evento spartiacque.
Queste società parlano sempre di come i loro nuovi modelli abbiano ottenuto ottimi risultati nei test. Ma c’è un problema: spesso sono addestrati sugli stessi test in cui affermano di eccellere. È un circolo vizioso. E, francamente, hanno poco senso.
Una recente ricerca della Bbc mostra che la metà delle risposte degli assistenti IA presentano “problemi significativi”, mentre diversi studi di cui lei ha parlato su LinkedIn rivelano un alto grado di allucinazioni (hallucinations, ndr) nelle risposte dei chatbbot. Perché c’è questa discrepanza?
Prima di tutto, perché sono valutazioni indipendenti. Negli ultimi sei mesi, molte analisi hanno rilevato un’alta percentuale di allucinazioni. E, per molti esperti, questo è semplicemente il funzionamento dei Llm. Tutti si basano sulla stessa tecnica di base basata su modelli probabilistici. Il risultato? È probabile che le allucinazioni continueranno.
Per quanto tempo ancora?
È difficile da prevedere, ma le allucinazioni rimangono un problema importante. Anche se è possibile che diminuiscano nel corso del tempo, questo non succederà in modo immediato. Se applichiamo l’approccio della tecnologia esponenziale per analizzarne l’evoluzione – un tema che ho studiato per anni -, è chiaro che questo problema non potrà essere risolto dall’oggi al domani.

Immagine: Canva.
Quindi, quale potrebbe essere la soluzione?
I Llm specializzati, addestrati su set di dati circoscritti e molto specifici, possono aiutare a ridurre le allucinazioni. Molte aziende stanno andando in questa direzione, perfezionando l’IA su informazioni specializzate di un dato settore, per migliorarne la precisione. Diversi esperti sostengono però che sia necessaria una trasformazione più profonda nell’architettura dell’IA se le aziende vogliono raggiungere una vera affidabilità. Probabilmente, sarà necessario un nuovo tipo di intelligenza artificiale.
Ma le aziende hanno bisogno ora dell’IA. I giornalisti, ad esempio. Le redazioni la stanno utilizzando sempre di più, talvolta in maniera controversa, come nel caso di Insights del Los Angeles Times.
Non tutte le applicazioni dell’intelligenza artificiale richiedono una precisione assoluta. Ad esempio, i riassunti o le definizioni generate dall’IA non devono essere perfette. I giornalisti possono usare gli assistenti IA per raccogliere in modo più rapido una serie di punti di vista su un dato argomento e avere a disposizione una visione più ampia. Alla fine, però, dipende dall’esperienza del giornalista stesso. I più esperti, che hanno già una profonda conoscenza dei temi che trattano, possono usare l’IA per perfezionare i propri contenuti. La loro esperienza li aiuta a individuare quando l’intelligenza artificiale sbaglia o quando devono modificare la formulazione delle domande per ottenere risultati più precisi.
Dunque, chiedere cose semplici, non ragionamenti complessi. O meglio, non ancora.
Sì, perché se stai cercando di districarti in una controversia fra due opinioni contrastanti, incrociandole per arrivare a una conclusione, il riassunto generato dall’IA verosimilmente non ti offrirà la profondità o le sfaccettature che stai cercando.
Il tempo dirà quanto velocemente si svilupperanno i progressi nell’IA generale, ma determinerà anche chi guiderà il mondo dell’intelligenza artificiale e se la Cina supererà gli Stati Uniti, attraverso nuovi colpi come DeepSeek e Manus.
C’è molta incertezza. L’IA è un settore ampio, dietro cui ci sono molti ricercatori e organizzazioni. Ci saranno nuovi sviluppi, ma è fondamentale ricordare che passa molto tempo tra quando le idee sono presentate per la prima volta in articoli accademici e quando vengono effettivamente messe in pratica. Nell’IA, questa tempistica non è così dilatata come in campi come la fisica, la chimica o la biologia, ma resta comunque un processo lungo.
All’incirca cinque anni, se si considerano la scoperta dell’architettura transformer nel 2017, con il paper “Attention is All You Need” e il lancio di ChatGpt nel 2022. Cosa potrebbe accadere nel prossimo quinquennio?
Verrà fuori qualcosa di nuovo, ma, nel frattempo, il vero problema è che i mercati non aspetteranno. È stato detto loro – e si sono convinti – che l’IA offrirà un enorme valore aggiunto già oggi. L’aumento della capitalizzazione di mercato è spinto dalla convinzione che l’IA stia già cambiando il mondo e molte aziende di conseguenza si aspettano un forte impatto sui profitti. E non solo i fornitori di IA, ma anche chi la utilizza. Eppure, finora, non abbiamo avuto riscontri di questo. Quindi, anche se si può speculare su cosa potrebbe accadere in futuro, il semplice fatto che l’IA non riesca a fornire il valore promesso agli utenti finali – le società che la utilizzo – potrebbe portare a un forte contraccolpo sul mercato.
Cos’è che funziona già oggi, in questa storia?
Di certo non l’utilizzo dell’IA nell’ambito del customer service. Queste applicazioni stanno avendo difficoltà e non sono state adottate su larga scala. Piuttosto, le aziende stanno sfruttando dei servizi specializzati, dai quali hanno dei benefici, anche se costano parecchio.

Palazzo Berlaymont a Bruxelles ospita la sede della Commissione europea. Foto: Wikimedia Commons.
Le problematiche legate all’efficienza che stanno colpendo le società di IA statunitensi potrebbero rappresentare per l’Europa l’opportunità di aggiungersi nella corsa a due tra Stati Uniti e Cina, o è troppo tardi?
Non credo che la competizione sia finita per l’Europa. Ma deve essere giocata su un altro campo: produrre buone applicazioni. Applicazioni che possano aumentare in modo significativo la produttività delle aziende che le utilizzano. Le aziende americane che sviluppano software per applicazioni di IA stanno affrontando molte incertezze. Nessuna di loro ha in questo momento entrate significative. C’è sicuramente la possibilità per le aziende europee di proporre nuove alternative.
Ci sono però delle limitazioni. La prima è il famoso dualismo: gli Stati Uniti innovano, l’Unione Europea regola.
Tendo a ignorare queste voci. Sono affermazioni non molto utili. L’Ue deve concentrarsi sullo sviluppo di applicazioni efficienti e conformi alle esigenze e richieste degli utenti. La regolamentazione in questo senso gioca un ruolo, perché i cittadini chiedono strumenti sicuri. Al contrario, vedo un altro grande problema: l’Europa sta copiando troppo l’America.
È la fascinazione verso il modello Silicon Valley?
Purtroppo, questa mentalità riflette gran parte del mondo tecnologico. Le persone tendono a copiare gli altri. Se qualcuno ha un’idea brillante, la maggior parte vuole seguirne l’esempio. Quando ero giovane, l’industria dei semiconduttori ha attraversato numerosi cambiamenti nel design e concettuali. Questa è la mentalità su cui è stato costruito internet: pensare fuori dagli schemi. Ed è proprio quello di cui ha bisogno l’Europa: individuare ed esaminare i problemi che le aziende stanno affrontando quando utilizzano le applicazioni, così da trovare soluzioni alternative e migliorarne la produttività. Invece, oggi, negli Stati Uniti, i venture capital iniettano da subito molti soldi nelle startup, facendo diventare i founder miliardari troppo presto, anche prima che abbiano un prodotto sul mercato e conseguenti ricavi.
Ecco un secondo problema: la differenza di investimenti, nonostante l’annuncio di von der Leyen di un nuovo piano da 200 miliardi di euro per l’IA. Sfruttare modelli open-source per eccellere in compiti specifici, come stanno facendo aziende come Mistral, è un modo di superare in parte la mancanza di fondi. Un’opportunità emergente per le startup europee di IA sembra essere nel settore della difesa.
Penso che le aziende europee di IA abbiano molte opportunità significative in vari settori, compreso quello della difesa. Abbiamo visto l’utilizzo innovativo di droni dotati di intelligenza artificiale da parte dell’Ucraina, per difendersi dai carri armati e dall’artiglieria russa. Sebbene Kiev abbia collaborato con delle startup americane, in questo nuovo contesto internazionale incerto, dove il supporto statunitense non può più essere dato per scontato, l’Ucraina potrebbe dover trovare soluzioni alternative. L’Ue potrebbero intervenire e studiare come l’IA possa essere utilizzata anche per difendere il proprio territorio. C’è un vecchio detto: la necessità è la madre di tutte le invenzioni. L’Ucraina sta lottando per la sua sopravvivenza e l’Ue vuole proteggere la sua libertà. L’Europa sta affrontando molte sfide cruciali e questa è una di esse.