Trump per il New York Times, pro e contro

Di il 03 Marzo, 2025
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Secondo Joseph Kahn, direttore del quotidiano, è cruciale "far conoscere le firme" dei giornali al pubblico per ricostruire la fiducia nei media

“Il New York Times definisce il registro del giornalismo americano e Joseph Kahn definisce il registro del New York Times”, aveva scritto il direttore di Semafor, Ben Smith, lo scorso anno.

Giovedì scorso, i due si sono ritrovati per un’altra intervista, durante l’evento Innovation to Restore Trust in News, organizzato proprio da Semafor.

Il giornalismo investigativo con Trump

Kahn, direttore del New York Times dal 2022, ha parlato degli effetti del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca sull’informazione.

L’attuale presidente degli Stati Uniti “genera una quantità enorme di notizie ed è molto interessante. Alcune non sono corroborate dai fatti e dobbiamo correggerle il più velocemente possibile”, ha detto il numero uno del quotidiano newyorkese.

Tuttavia, ha continuato, “si aprono anche nuove linee di indagine sulle agenzie federali e sul funzionamento del governo, aspetti che nessuno di noi aveva più preso in considerazione dai tempi delle lezioni di educazione civica e ora sono parte integrante del ciclo delle notizie”.

Ancora una volta, così come aveva sostenuto il cofondatore di Vox, Matthew Yglesias, durante la prima amministrazione Trump, sembra che la sua presidenza possa favorire il giornalismo di inchiesta, del New York Times e di altre testate.

“È un bene per il settore dell’informazione? Probabilmente sì: sta aumentando la consapevolezza e l’attenzione delle persone su quello che accade nel Paese. Da un punto di vista giornalistico”, ha sottolineato Kahn, “è un’opportunità straordinaria”.

Yglesias sottolineava come anche gli editoriali, in particolare quelli critici verso Trump pubblicati dai giornali di orientamento liberal, acquistassero più visibilità.

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Donald Trump, 45esimo e 47esimo presidente degli Stati Uniti, nello Studio Ovale alla Casa Bianca. Foto: FMT:

Ritorno

Stavolta, però, la situazione è diversa.

Molti importanti media che durante il primo mandato avevano dato filo da torcere a Trump sono ora molto più prudenti.

Il Washington Post, su ordine del suo proprietario Jeff Bezos, ha ammorbidito la sua linea editoriale tramite una serie di decisioni, dal mancato endorsement a Kamala Harris – scelta intrapresa anche dal Los Angeles Times – allo stravolgimento della sezione Opinioni, per imbonire la Casa Bianca.

La Cnn ha di recente accettato le dimissioni del noto giornalista Jim Acosta, tra i più aspri critici di Trump, dopo che l’amministratore delegato Mark Thompson gli aveva comunicato che intendeva spostare il suo programma – tra i più visti della rete – dalla prima serata a mezzanotte.

La Pbs, che percepisce il 16% dei suoi finanziamenti dal governo, ha deciso di smantellare il suo dipartimento per la diversità, equità e inclusione, mentre Npr non rimpiazzerà il suo direttore uscente del reparto DEI.

Nonostante la sua amministratrice delegata, Katherine Maher, abbia confermato l’impegno di Npr sul fronte delle politiche inclusive, l’emittente – alle prese con le accuse dei conservatori statunitensi e un’investigazione in corso da parte della Commissione federale per le comunicazioni – vuole integrare le pratiche di DEI nelle sue strategie generali, senza dedicare loro un ruolo specifico.

Maher lo ha dichiarato all’evento si Semafor della scorsa settimana.

A dicembre, l’Abc ha accettato di pagare 15 milioni di dollari a Trump per evitare di andare a processo, dopo che il presidente aveva denunciato il conduttore di Abc News George Staphanopoulos per diffamazione.

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La sede del New York Times a New York. Foto: Wikimedia Commons.

Senza fiducia

Kahn ha parlato anche della crisi tra i media e il suo pubblico, che afferma di avere sempre meno fiducia nelle testate cosiddette mainstream.

“Per 40-50 anni abbiamo lasciato che si diffondesse l’idea che non ci si può fidare di quello che si legge sui media, senza fare molto per raccontare la nostra versione o rendere trasparente il nostro lavoro”, ha evidenziato Kahn.

L’augurio del direttore del New York Times è che, anche in un momento in cui i populismi – da Trump a molti esponenti europei – stanno cercando di peggiorare questa situazione, “non ci vogliano altri 40 o 50 anni per rimediare”.

Tuttavia, ha avvisato, “servirà del tempo per capire se possiamo davvero ricostruire la fiducia nel giornalismo”.

Per farlo, Kahn ha menzionato alcune strategie.

La prima è avvicinare il pubblico ai giornalisti, attraverso uno stile, definito “conversational”, colloquiale, come quello del podcast The Daily del suo quotidiano.

In questo processo di rinnovamento, torna centrale “far conoscere le firme”, per “far parlare direttamente i giornalisti specializzati con lettori e spettatori, spiegare su cosa stanno lavorando e come”.

Il modello New York Times continua a funzionare.

Ha 11,4 milioni di abbonati, un numero in costante crescita, e Kahn ha ribadito di voler tutelare il quotidiano dagli attacchi politici dei conservatori e dalle pressioni del partito democratico, area ideologica a cui la testata è tradizionalmente associata.

“La vecchia filosofia secondo cui basta lasciare che le storie o il giornalismo parlino da soli, o che non dobbiamo difendere il nostro personale o la nostra istruzione quando vengono attaccati non è più valida”.

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