Se sei miliardario e vieni sospeso da Twitter cosa fai? Ti crei un social tutto tuo dove poter parlare liberamente. È questa la vendetta che Donald Trump ha escogitato per condividere il proprio pensiero al mondo senza il rischio di censure. Truth è una piattaforma che ambisce a combattere la narrazione del mondo liberal e fare spudorata concorrenza a X, ad oggi con scarsi risultati.
Dal momento della sua fondazione nel 2021 la Trump Media & Technology Group, società che ha gestito la creazione di Truth, è stata però trattata da Donald Trump come un’impresa a basso interesse e con scarsi investimenti. Nonostante abbia ricoperto il ruolo di amministratore delegato e sia in possesso di quasi il 65% della società, Trump è stato coinvolto solo marginalmente nelle operazioni quotidiane. Il suo principale contributo è stato postare su Truth, delegando gran parte delle attività ad altri.
Ora che la Trump Media è stata quotata in borsa, il candidato alla Presidenza degli Stati Uniti ringrazia il destino per aver creato una vera miniera d’oro. Il giorno del suo debutto a Wall Street a marzo l’azienda ha fruttato oltre 5 miliardi di dollari triplicando il suo patrimonio netto e fornendo una potenziale ancora di salvezza finanziaria a Trump, in crisi per le ingenti spese legali in processi civili e penali.
Il paradosso finanziario di Trump
Tuttavia, questa fortuna è fragile come il cristallo. Trump Media esce da anni di indagini e inchieste da parte della Securities and Exchange Commission e sull’insider trading. L’azienda, che Trump ha fondato insieme a due ex concorrenti del reality americano “The Apprentice”, non ha altri prodotti oltre a Truth. Quest’ultimo ha un pubblico ristretto ed ha generato entrate per soli 770.000 dollari nei primi tre mesi dell’anno, contro una perdita di 328 milioni di dollari.
Nonostante questo, Trump Media ha una valutazione di mercato superiore a 7 miliardi di dollari.
Questa apparente ricchezza è volatile in quanto non fondata su principi finanziari ma politici. Inoltre, Trump non può vendere le sue azioni fino a settembre, a causa di una clausola comune negli accordi di fusione e nelle offerte pubbliche che gli impedisce di monetizzare il suo patrimonio. Una vendita delle sue azioni potrebbe essere interpretata dagli azionisti più piccoli come un segnale per fuggire.
La nascita di Trump Media
Fondare la Trump Media non è stata un’idea del magnate. Dopo aver lasciato la Casa Bianca nel 2021, due concorrenti della seconda stagione del reality show The Apprentice, Wes Moss e Andy Litinsky, hanno proposto al miliardario l’idea di una piattaforma di social media costruita attorno al suo marchio.
Questo avvenne poco dopo che Trump era stato bannato da Twitter a seguito della rivolta del 6 gennaio al Campidoglio. Moss e Litinsky sostenevano che, creando una propria piattaforma, Trump non sarebbe più stato soggetto a simili “ingiustizie”.
Così nel febbraio 2021, Donald Trump firma un accordo con Moss e Litinsky per creare una società di comunicazione. In cambio dell’uso del suo nome, Trump ha ricevuto una partecipazione del 90% nell’impresa e il titolo di amministratore delegato. I due nuovi soci si sono occupati dell’assunzione degli ingegneri per costruire Truth con l’obiettivo di organizzare il lancio entro un anno.
Ancor prima che l’app fosse completata, Moss e Litinsky puntavano a quotare Trump Media tramite una fusione con una “società di acquisizione a scopo speciale” (SPAC), società di comodo che raccolgono fondi tramite la vendita di azioni e poi cercano aziende private con cui fondersi, permettendo loro di evitare il controllo rigido di un’offerta pubblica iniziale (IPO).
Trump ha delegato i dettagli della fusione a Moss e Litinsky, il quale dopo numerose trattative ha trovato un accordo con Patrick Orlando, un ex trader della Deutsche Bank che stava creando una società di comodo chiamata Digital World Acquisition Corporation.
Problemi legali e ostacoli alla fusione
I problemi legali non tardarono ad arrivare. Alla fine del 2021, la Securities and Exchange Commission (SEC) aprì un’indagine sulla fusione, mentre i magistrati accusarono di insider trading alcuni investitori della Digital World. Questi ostacoli ritardarono l’approvazione normativa sulla fusione e impedirono il lancio al grande pubblico della società di Trump.
Con l’accordo in bilico, Trump decise di rafforzare la presa sulla sua società. Infatti, tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, chiese a Litinsky di cedere le azioni alla moglie Melania, quest’ultimo si rifiutò e in tutta risposta fu estromesso nella primavera del 2022. Anche l’amico Wes Moss lasciò l’azienda pochi mesi dopo. I due furono sostituiti da Devin Nunes, un ex membro del Congresso repubblicano, che divenne l’amministratore delegato della società, Trump assunse il ruolo di presidente e suo figlio Donald Jr. entrò nel consiglio di amministrazione.
Risoluzione delle accuse e ripresa della fusione
Nel luglio scorso, Digital World accettò di pagare 18 milioni di dollari alla SEC per le accuse di inganno ai danni degli investitori riguardo all’accordo con la Trump Media.
Il 14 febbraio 2023, la SEC approvò finalmente l’accordo di fusione, permettendo all’azienda di riprendere il percorso verso il mercato azionario.
Nonostante le numerose sfide, l’azienda ha ora una nuova opportunità per stabilizzarsi e crescere nel panorama dei social media. Dopo l’immissione di nuove azioni derivanti dalla fusione, la partecipazione del 90% di Trump nella sua società è scesa a circa il 65%. Ma rimane il maggiore azionista con circa 115 milioni di azioni, di cui 36 milioni ricevuti il mese scorso come una sorta di bonus per il buon andamento delle azioni.
Oltre ad essere una ingente fonte di guadagno Truth rappresenta un potentissimo amplificatore dei messaggi elettorali di Trump. Il candidato alla Casa Bianca utilizza senza scrupoli di linguaggio il proprio social per promuovere la sua campagna elettorale, attaccare rivali politici e sollecitare donazioni. Inoltre diffonde false accuse di frode elettorale, teorie cospirative di estrema destra e scaglia accuse contro giudici, testimoni e pubblici ministeri coinvolti nei suoi casi giudiziari.