Le parole hanno un peso, ancor di più se utilizzate in politica. Se fino agli anni ’90 il linguaggio forbito e poco comprensibile della politica presupponeva un: “votami perché parlo meglio di te”, con la Seconda Repubblica il “politichese” cede il passo al “gentese” per essere scalzato dal “socialese”
Questa l’analisi di Michele A. Cortelazzo, Accademico ordinario della Crusca e collaboratore dell’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, che all’interno del suo libro “La lingua della neopolitica. Come parlano i leader” edito da Treccani, racconta il percorso evolutivo (o involutivo ndr) del linguaggio politico italiano.
E oggi? Il fenomeno del “rispecchiamento”, spiega Cortelazzo, sembra essersi radicalizzato attraverso i social, con la diffusione del cosiddetto “hate speech”, il ricorso a insulti e stereotipi negativi verso gli avversari, facendo emergere una sorta di “socialese”.
E’ la morte del “politichese”?
Tuttavia sembra che il politichese non sia definitivamente sparito, se ne tiene traccia ad esempio con il termine “esternalizzazione”, utilizzato più volte anche a livello internazionale. O di parole vaghe: “governo del cambiamento” retaggio prima della sinistra e poi della destra, osserva Cortelazzo.
Non si contano gli ossimori che ricordano il passato come “convergenze parallele” (Aldo Moro), “equilibri più avanzati” (Francesco De Martino) “compromesso storico” (Enrico Berlinguer), “casti connubi” (Giulio Andreotti) diventati ora “radicalismo dolce” (Romano Prodi).
Il linguaggio dei moderni partiti
Nel capitolo dedicato alla lingua di oggi, Michele A. Cortelazzo evidenzia che Fratelli d’Italia e la sua leader Giorgia Meloni fanno largo uso di lessico valoriale (“coerenza”, “coraggio”, “fiducia”) o di parole recuperate come “patria” e “nazione”, “sovranismo” e “sovranità” (anche alimentare).
Il Partito democratico, scrive il linguista, dopo la “verve” di Luigi Bersani, ha vissuto un deficit di specificità lessicale con Enrico Letta risvegliandosi con Elly Schlein.
Il Movimento 5 stelle è più orientato, sostiene il linguista, “alla volgare eloquenza e alla denigrazione dell’avversario”: dal “vaffa” di Beppe Grillo alla “mangiatoia” soppiantata dalla “pacchia”, da “manine” che cambiano i provvedimenti approvati al “reddito di nullafacenza” o alla “pigranza”.
La Lega di Matteo Salvini “sembra affetta da bulimia comunicativa”, con parole come “europirla”, “giornaloni”, “intellettualoni”, “professoroni”, “rosiconi”.
Il Terzo Polo vede in Matteo Renzi, sottolinea il professor Cortelazzo, “un abile oratore e diffusore di parole” come “rottamazione”, “professoroni” e “rosiconi” (poi adottati da Salvini) e soprattutto “gufi”.
Cortelazzo ricorda che Forza Italia ha avuto un leader come Silvio Berlusconi “grande innovatore del linguaggio politico italiano, artefice del passaggio dal “politichese” al “gentese”, facendo anche riferimento ad ambito metaforici, come quello sportivo rappresentato dalla discesa in campo.
Uno smalto appannatosi negli ultimi anni, che ha portato la spinta innovativa a degradarsi nel “socialese”.
Sono spariti i partiti anche nella denominazione
In piena seconda Repubblica, sono spariti i partiti, ad eccezione di quello Democratico, a vantaggio di parole o espressioni chiave: Movimento, Alleanza, Azione, Italia Viva, +Europa, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Italia al Centro, Noi moderati, Lega; ma anche “sardine”, “poli” (delle libertà, del buon Governo, del riformismo, del buonsenso e persino, Carlo Calenda, della serietà) e “campi” (campo largo il più famoso).
Il retaggio del Covid
Il libro “La Lingua della neopolitica. Come parlano i leader” affronta anche la drammatica stagione del Covid e le tracce che ha lasciato sulla lingua, con il ritorno di molti burocraticismi e anglismi a non finire: “lockdown”, “green pass”, “smart-working”, “baby-sitting”, “recovery plan” per citarne alcuni.
Il professore Cortelazzo dedica una nota affettuosa al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al quale il responsabile della comunicazione del Quirinale, Giovanni Grasso, durante la registrazione di un intervento sull’emergenza sanitaria, segnalò fuorionda un ciuffetto fuori posto: “Eh Giovanni, non vado dal barbiere neanche io”.
E nella memoria collettiva rimane questo umanissimo scambio di battute più ancora dell’importante contenuto, osserva il linguista Accademico della Crusca.
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