Teorie del complotto: come si diffondono sui media e perché ci crediamo

Di il 21 Luglio, 2024
Oltre la finzione: l'influenza delle teorie del complotto nella cultura moderna
Il cospirazionismo non va deriso o ignorato, ma compreso nei suoi fattori concausali: lì dove non arrivano la ragione o il metodo scientifico, si deve agire sul pensiero magico

Ho cercato su Google la lista delle teorie cospirazioniste più famose, ed era troppo lunga per scorrerla tutta. Facendo scanning, il cervello ha riconosciuto immediatamente quelle familiari: Ronaldo e la finale della Coppa del Mondo, i vaccini, gli UFO, QAnon e il nuovo ordine mondiale, il cambiamento climatico.

Mi ha sorpreso soprattutto vedere la presenza consistente di personaggi della politica americana: un paragrafo dedicato a Barack Obama e uno a Michelle Obama, uno a Trump, Biden e l’Ucraina, e ancora una menzione per Trump che ricompare quando si parla di negazionismo climatico. Insomma, non è un caso che le teorie cospirazioniste si generino soprattutto a partire dal continente che ha segnato l’immaginario collettivo in modo preponderante nell’ultimo secolo, quando il sogno americano è diventato il sogno internazionale.

Lo sviluppo dell’industria mediatica statunitense, con la penetrazione consistente degli schemi narrativi e dello star system hollywoodiano, non sarebbe stata possibile in assenza di concomitanti fattori economici e politici. Gli americani sapevano bene, all’indomani della Prima Guerra Mondiale, che per avere consensi non era sufficiente il sostegno economico: per far accettare l’emersione dell’egemonia statunitense, bisognava insediarsi in un orizzonte valoriale, fatto di idee e stili di vita.

Intendo dire che non è un caso che le più complesse e strutturate teorie cospirazioniste intreccino le vicende del continente che, accanto a una consistente influenza economica e geopolitica, ha prodotto gran parte delle storie, quindi della cultura, in cui una fetta consistente del mondo è stato immerso e si è riconosciuto.

Parlando di complottismi, i teorici tendono a distinguere le fake news dalle teorie del complotto, affermando che chi diffonde le prime è consapevole del loro carattere di finzione; al contrario, chi sostiene le seconde ha un approccio fideistico, al pari di una devozione religiosa, e per questo cerca di fare proseliti. A mio avviso questa distinzione è incompleta e soprattutto poco utile: le teorie del complotto possono anche essere fomentate e manipolate dai fautori del disordine mondiale, che mirano a diffonderle per generare instabilità.

Le fake news, o gli esempi di mis-informazione, sono al massimo relegabili al fatto puntuale e, in genere, possono essere smontate da sistematiche operazioni di debunking, supportate da immagini, prove e un certo grado di fiducia verso le fonti. Invece, il complotto interviene piuttosto al confine della dis-informazione: agisce sull’assenza, sulla sottrazione di informazione attendibile. Le teorie del complotto riempiono un vuoto di narrazione.

Perché dovremmo credere che Lady Diana non ha subito un incidente casuale? O che Balenciaga manda messaggi satanici e Britney Spears è morta? Questa tendenza è facilitata dal sistema mediatico in cui siamo imbrigliati: perché tutto ciò che viene incorniciato come “notizia”, ci viene presentato come rilevante per noi. Sembra che tutto ci riguardi, ci identifichiamo come attori – personaggi secondari – della storia di Lady Diana e di quella di Britney Spears, la sentiamo come nostra quindi vogliamo spiegarla per filo e per segno. Nella noia sistematica del quotidiano, in cui l’immaginazione trova pochi momenti di sbocco ed emersione, diventiamo narratori per riappropriarci di quelle storie: e perché no, magari Trump se l’è organizzato da solo l’attentato?

Diverse però sono le teorie del complotto sistemiche e strutturate come quelle di QAnon, e cioè la teoria di un deep state di matrice liberal-democratica, mangia-bambini e composta da pseudo intellettuali pedofili. Questo tipo di ideologia interviene per consentirci di far fronte a fenomeni che riteniamo inspiegabili, o che rifiutiamo: eventi climatici inattesi, la diffusione di malattie, la perdita alle elezioni del nostro presidente di riferimento. Eventi traumatici e che richiederebbero applicazione, studio, approfondimento, ma che invece toccano le corde della nostra ansia generalizzata, del senso di precarietà e solitudine, stimolando quindi la risposta di quello che Kahneman ha accuratamente definito come Sistema 1: è il sistema veloce, intuitivo ed emotivo, tutte caratteristiche potenziate e acuite dalle piattaforme mediatiche contemporanee.

Rifugiarsi in queste teorie del complotto ha un secondo effetto positivo: ricrearsi una nicchia comunitaria di appartenenza, resa solidamente unita dalla convinzione che vi sia un “loro” contro cui lottare. Una comunità facilmente creata dall’infrastruttura tecnologica che consente la diffusione rapida delle notizie e lo scambio ancora più immediato di commenti e opinioni, spesso dentro bolle di pensiero a noi affini.

C’è un terzo tipo di teorie del complotto, e riguarda la secolarizzazione e il declino del sentimento religioso del nostro secolo. Scientology, la Luna o gli Ufo, sono testimonianze del cortocircuito che viviamo: incapaci di gestire il mistero e l’ignoto perché abituati all’iper-razionalizzazione, ci rifugiamo in storie seducenti che ci danno l’illusione della conoscenza, abbassando invece le nostre difese cognitive. Il pubblico, noi, fa tutto il resto: riempie i vuoti di narrazione, integra le storie porose con quello che il web rende immediatamente disponibile.

Questo, come dice Gottschall, è ciò che rende le teorie del complotto pericolose: è come dimostrare che non esistono cigni neri, semplicemente dicendo che non se n’è mai visto uno. Sono storie di cui bisogna dimostrare la non veridicità, cioè che non c’è nessuna storia, mentre noi rifiutiamo le prove di disconferma. La vera domanda è quanto devono preoccuparci. Si tratta di credenze che non hanno la potenza trascinante né la complessità sistemica delle religioni antiche, ma che tuttavia restituiscono un senso di appartenenza identitaria e comunitaria. Allo stesso modo, consentono di trascendere dalla sfera del visibile e di ripristinare un credo magico ed esoterico: rispondono quindi a un viscerale bisogno di rassicurazione, nell’ansia generalizzata di un progresso rapido e fuori controllo. Pur non incatenate a fatti dimostrabili, le teorie cospirazioniste sono coinvolgenti, come le parareligioni: solo in rari casi, però, essi hanno una componente dinamica che induca all’azione o al proselitismo.

Nonostante ciò, il cospirazionismo non va deriso o ignorato, ma compreso nei suoi fattori concausali: lì dove non arrivano la ragione o il metodo scientifico, si deve agire sul pensiero magico, con una serie Netflix di qualità o con la letteratura, cioè con le storie buone.

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Ludovica Taurisano è dottoranda di ricerca in Global History and Governance per la Scuola Superiore Meridionale di Napoli, con un progetto di ricerca sull’editoria popolare e l’informazione politica negli anni Sessanta e Settanta. Con una formazione in teoria e comunicazione politica, si è occupata di processi di costruzione dell’opinione pubblica; ha collaborato con l’Osservatorio sulla Democrazia e l’Osservatorio sul Futuro dell’Editoria di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Oggi è Program Manager per The European House – Ambrosetti. Scrive di politica e arti performative per Birdmen Magazine, Maremosso, Triennale Milano, il Foglio, Altre Velocità e chiunque glielo chieda. Ogni tanto fa anche cose sul palco.