
Quando, lo scorso febbraio, un consorzio di investitori guidati da Elon Musk ha proposto di comprare OpenAI per 97,4 miliardi di dollari, il suo amministratore delegato, Sam Altman, ha risposto su X: “no grazie, ma possiamo comprare Twitter per 9,74 miliardi, se vuoi”.
Chissà cosa avrà pensato Musk alla notizia, riportata da The Verge, secondo cui Altman starebbe progettando il social media di OpenAI.
La testata scrive che il progetto sarebbe in una fase iniziale, anche se fonti interne hanno riferito che esiste già un prototipo utilizzato per generare immagini su ChatGpt che è dotato di una sorta di un social feed, una sorta di bacheca condivisa per i contenuti.
Altman avrebbe privatamente chiesto riscontro e l’opinione di persone esterne.
Nel caso il progetto proseguisse, sarà fondamentale capire se l’ad di OpenAI intenderà sviluppare un’app separata o integrare la funzione all’interno di quella di ChatGpt, che lo scorso mese è stata la più scaricata al mondo.

Sam Altman, amministratore delegato di OpenAI, al festival TechCrunch Disrupt nel 2017. Foto: Flickr.
Asso pigliatutto
La firma di tecnologia del New York Magazine, John Herrman, ha inquadrato la possibile decisione di Altman con il fenomeno dell’everythingism tipico della Silicon Valley.
È la convinzione, diffusa tra founder e amministratori delegati in ambito tecnologico, secondo cui, una volta che i propri prodotti hanno raggiunto un grado elevato di popolarità, giunge l’ora di realizzare che stanno avendo successo sul mercato.
In passato, Facebook ci aveva provato con il lancio del suo impopolare telefono, così come Amazon. Google+, il social media di Google, è stato chiuso, mentre il progetto Google Glass quasi abbandonato. La Apple Car non ha mai visto la luce. Il flop della piattaforma Horizon Worlds ha segnato l’insuccesso di Meta sul metaverso.
Non ci sarebbe nulla di sorprendente, quindi, nella scelta di Altman di lanciare il suo social media.
Più interessanti sarebbero gli effetti sulla concorrenza, da Meta a X e Google, proprietaria di YouTube. Tutte queste società hanno a loro volta integrato l’intelligenza artificiale nelle proprie funzioni.
Secondo Herrman, una piattaforma social rappresenterebbe per OpenAI una mossa strategica per alimentare la crescita di ChatGpt – che ha superato i 400 milioni di utenti settimanali medi anche grazie al passaparola.
La presenza di un social media associato all’app non solo favorirebbe questo effetto, ma potrebbe contribuire ad aumentare il tempo di permanenza sull’applicazione.
Infine, sottolinea il giornalista del New York Magazine, c’è una ragione ancora più importante. Un social media consentirebbe a OpenAI di immagazzinare in modo più semplice e diretto dati freschi, aggiornati e gratuiti – generati dagli utenti – per l’addestramento dei suoi modelli.
Sempre che non questa integrazione non vada a discapito della qualità – non sempre sufficiente – delle risposte di ChatGpt, spesso alle prese con problemi definiti di allucinazione.