Il recente licenziamento di Selina Cheng, giornalista del Wall Street Journal a Hong Kong, ha suscitato notevoli preoccupazioni nel giornalismo internazionale. Cheng, che aveva appena assunto la presidenza del sindacato per la libertà di stampa nella regione, ha ricevuto la notizia del suo licenziamento in seguito al rifiuto di ritirare la sua candidatura a tale carica, decisione giustificata dal suo datore di lavoro come “incompatibile con il lavoro” di giornalista.
Il caso di Cheng non è isolato. Altre testate internazionali, tra cui BBC, Bloomberg e CNN, sembrano seguire una politica simile, dissuadendo i loro giornalisti dall’assumere ruoli di leadership in organizzazioni chiave come la Hong Kong Journalist Association (HKJA) e il Foreign Correspondents’ Club. Comportamenti che indicano una crescente pressione del governo cinese sulle redazioni straniere, in un periodo in cui la legge sulla sicurezza nazionale ha già messo a dura prova la libertà di espressione nella regione.
Il caso ha riacceso il dibattito sulla capacità dei grandi gruppi editoriali di resistere a tali pressioni senza compromettere la loro missione di difesa della stampa. Mentre alcuni dirigenti di queste aziende sembrano preferire una strategia di non coinvolgimento attivo in queste organizzazioni, altri come Sheila Coronel, ex professore di Cheng alla Columbia Journalism School, criticano tali compromessi come un cedimento al potere autocratico.
Nel giornalismo internazionale dove gli equilibri sono delicati, il licenziamento di Cheng solleva quindi interrogativi cruciali: può un giornalista rimanere neutrale e imparziale se escluso dal partecipare attivamente alla difesa della propria professione? E quale sarà l’impatto sul futuro della libertà di stampa a Hong Kong e oltre?
Gestire i giornalisti nei paesi in cui la libertà di stampa è limitata non è un compito facile. Gli editori bilanciano costantemente la sicurezza del loro personale con la ricerca della verità. I passi falsi possono costare alle testate l’accesso a fonti di governo o la perdita dei visti per i giornalisti e, in alcuni casi, portare all’espulsione o all’incarcerazione dei loro giornalisti.