Paolo Taticchi: “Economia circolare, biodiversità ed etica dell’AI i trend da seguire nella sostenibilità d’impresa”

Di il 27 Agosto, 2024
Paolo Taticchi: “Economia circolare, biodiversità ed etica dell’AI i trend da seguire nella sostenibilità d’impresa”
Intervista a Paolo Taticchi, Professore di Strategia e Sostenibilità d’Impresa alla University College di Londra. “Oggi a causa delle pressioni politiche stiamo assistendo ad un cambio di narrazione delle tematiche ESG, ma non di direzione. Dal percorso verso la transizione sostenibile non si torna più indietro”
(Nella foto: Paolo Taticchi, Professore di Strategia e Sostenibilità d’Impresa alla University College di Londra) 

Nuove regolamentazioni, impatto della politica, comunicazione e nuovi trend. Ho avuto il piacere di discutere questi temi con Paolo Taticchi, Professore di Strategia e Sostenibilità d’Impresa alla University College di Londra, in un’intervista nata con lo scopo di comprendere i pilastri sui quali le aziende costruiscono, o dovrebbe costruire, le strategie sulla sostenibilità.

Ho incontrato Paolo in occasione del Sisal Talk “Unlocking Sustainable Transformation”, un momento di dialogo e confronto sui temi chiave della strategia di crescita sostenibile e di innovazione nel lungo periodo. La sua indiscutibile preparazione e chiarezza nell’esposizione mi ha spinto a chiedergli un’intervista, che ha gentilmente accettato nonostante la fitta agenda.

Paolo ha un curriculum da fare invidia. È autore di numerosi articoli scientifici e libri. La sua attività accademica lo ha portato a insegnare e sviluppare progetti in oltre 20 paesi, fare training per aziende Fortune Global 500 ed essere keynote speaker in importanti summit corporate e governativi. Oggi, Paolo è consulente di importanti organizzazioni in UK, US, Canada, Italia e India ed è stato advisor scientifico del Ministero dell’Ambiente in Italia. Il suo profilo ed i suoi progetti sono stati menzionati oltre 350 volte da media internazionali quali Financial Times, Forbes, Sky e CNN.  Nel 2018, Paolo è stato menzionato da Poets&Quants e Forbes nella lista dei migliori 40 professori di business al mondo under 40. Nel periodo 2021-23 Il Sole 24 Ore lo ha menzionato come l’Italiano under 40 più influente al mondo. Quest’anno, ha ricevuto il prestigioso “Stephan Riesenfled Award” dall’Università di Berkeley riservato a personalità che influenzano in modo positivo il cambiamento sociale su scala globale.

Carlo Castorina (CC): Da Washington a Bruxelles, l’introduzione di norme più stringenti sulla sostenibilità in ambito aziendale può sembrare un ostacolo. Come stanno reagendo le aziende alla richiesta di una maggiore trasparenza su temi legati alla sostenibilità? E quale impatto ha questa sfida sulla fiducia dei Chief Financial Officer (CFO) nel poter migliorare i profitti?

Paolo Taticchi (PT): Il tema della regolamentazione è molto importante per le aziende grandi o piccole che si trovano a essere spinte a ripensare le loro strategie, i modelli di business e il modo di portare avanti le attività di impresa. Ci sono due aspetti da considerare. Il primo, in questo momento c’è un boom di nuove regole legate al mondo ESG, un trend particolarmente marcato in Europa perché l’Unione europea ha spinto molto su questa tematica. In questo contesto, uno dei settori più colpiti è stato quello del financial services, dove si stima siano state sviluppate un migliaio di regolamentazioni di varia natura ESG negli ultimi due tre anni. Oltre a queste nuove regole, esiste anche un secondo aspetto legato al tema dell’incertezza. L’introduzione di questi regolamenti molto spesso richiede tempo: una vera problematica per le aziende non è tanto il sapere che ci sono nuove regole da rispettare, ma il non sapere quando queste regole saranno effettivamente in azione e cosa comporteranno.

Ci sono poi cambiamenti profondi che queste direttive comportano nel modo di fare impresa. Una direttiva di cui si parla tanto in Italia è la CSRD (Corporate social responsability directive), che ha imposto la reportistica di sostenibilità ad aziende di taglia più piccola rispetto al passato: oggi l’obbligo si estende alle aziende con più di 250 dipendenti, in passato era riservato solo a quelle con più di 500. L’implicazione di questa modifica è che nei prossimi due tre anni avremo in Europa circa 50 mila aziende che faranno reportistica di sostenibilità per la prima volta. In più, è una reportistica che deve rispettare diversi criteri, ad esempio la doppia materialità, deve esserci un piano strategico sulla sostenibilità a monte ed essere allineata con la tassonomia europea. Si tratta quindi di una trasformazione di interi settori industriali: oggi la sostenibilità entra nelle supply chain delle grandi aziende e nelle PMI. Questo sicuramente è un trend molto marcato che spinge le aziende ad essere più trasparenti e a sviluppare strategie sulle tematiche ESG.

Sul lato dei CFO, bisogna considerare altri due aspetti. Da un lato i CFO percepiscono le tematiche ESG come un tema di rischio, e questo è corretto perché, ad esempio, problemi legati alla performance ambientale possono creare problemi reputazionali che a loro volta creano problemi finanziari. Basti pensare allo scandalo della Volkswagen. Dall’altro lato c’è il profitto, ossia opportunità legate al posizionamento sostenibile o alla costruzione di proposizioni di valore nei mercati che ruotano attorno alla sostenibilità, che è più complicato. Oggi molto spesso le aziende non sono in grado di sviluppare questo tipo di strategie commerciali sulla sostenibilità e quindi di valorizzare pienamente i benefici di una transizione sostenibile. Di conseguenza oggi i CFO sono più ferrati sulla prospettiva rischio e meno su quella commerciale.

CC: Il CEO di BlackRock, Larry Fink, ha detto che non userà più il termine ESG “because it’s been entirely weaponised”. Come ha reagito il mercato e quali potrebbero essere le implicazioni a lungo termine?

PT: Partiamo dal problema. Larry Fink nel 2018 manda una lettera a tutti gli amministratori delegati del mondo parlando di purpose e spingendo sulle tematiche di sostenibilità e di ESG. Come mai 6 anni dopo fa un cambio di narrazione ma non di direzione? L’America è l’unica regione del mondo dove la sostenibilità è diventata un tema politico e in quanto tale strumentalizzato. Oltre 15 stati federali hanno emanato leggi contro ESG perché vogliono proteggere, secondo la loro narrazione, gli interessi (soprattutto economici e finanziari) dei cittadini. Si tratta di leggi che limitano, specialmente agli operatori finanziari, la possibilità di utilizzare in maniera dichiarata ed esplicita logiche ESG. Queste leggi locali sono diventate un problema per gli asset manager internazionali, tipo BlackRock, che si trova ad essere tirata in due direzioni: ad esempio in Europa è spinta in direzione ESG perché questo è l’intento strategico e la narrazione di questa regione, mentre quando opera su alcuni stati americani deve limitare questa narrazione. Un contesto che è diventato così politicizzato negli ultimi anni che alcuni asset manager, tra cui BlackRock, hanno deciso di continuare a spingere e valutare le tematiche ESG ma senza parlane esplicitamente. Abbiamo quindi assistito non a un cambio di direzione, ma di narrazione. Questa situazione crea comunque criticità perché siamo ancora in una fase in cui la sostenibilità va spinta, occorre dare segnali all’opinione pubblica per cui dobbiamo tener alta l’attenzione su queste tematiche. Motivo per cui non sono particolarmente entusiasta di questo cambio di narrazione.

CC: Quali impatti potrebbe avere l’eventuale vittoria di Trump nelle prossime elezioni sulle iniziative green delle aziende negli Stati Uniti e a livello internazionale?

PT: Dico una cosa che potrebbe sembrare non intuitiva. Sono abbastanza convinto che Trump abbia dato un contributo positivo al movimento sostenibile. Perché? Durante gli anni della sua presidenza, è stato una persona così provocativa e contraddittoria, che con il suo estremismo ha scatenato l’opposto: più sosteneva idee estreme più si creavano movimenti contro le sue politiche. Quando, ad esempio, Trump fu eletto, annunciò l’uscita degli USA dall’Accordo di Parigi. Una decisione che tuttavia richiedeva anni prima di diventare effettiva. Il caso volle che la data per diventare effettiva fosse il giorno dopo l’elezione di Biden nel 2020, che ha subito bloccato l’iniziativa di Trump. Quell’annuncio di Trump ha generato una serie di reazioni, tra cui l’espansione della C40, iniziativa tra le 40 grandi città che si è estesa nel mondo coinvolgendo oggi oltre 100 città, tra cui Milano. L’accordo alla base di questa alleanza consiste nell’essere allineati con quanto stabilito a Parigi, a precidere da quello che dicono gli stati. Avere le grandi città, dove si registra la stragrande maggioranza delle emissioni di CO2 di un paese, che prendono posizione su questo tema è una prova che il paese sta andando nella direzione giusta, a prescindere da quello che la politica o il presidente dicono. Un movimento simile è nato in California: B Corp, migliaia di aziende che si impegnano per avere un purpose sostenibile. Trump, se rieletto, ritornerà sulle sue idee sulla transizione energetica ed ecologica. Tuttavia, ormai siamo in un percorso in cui è difficile tornare indietro, il cambio di un presidente o di politiche non vanno a influenzare processi che nel mondo del business sono già avviati. Anche le stesse aziende del settore Oil&Gas stanno investendo tutto su queste nuove tecnologie, servizi e prodotti legati alla transizione energetica ed ecologica. La politica può creare ostacoli ma la direzione è marcata, da certi percorsi non si torna indietro. Rimane comunque il fatto che per i temi della sostenibilità sarebbe meglio se Trump non venisse rieletto.

CC: L’esito delle elezioni europee ha visto una presenza importante dei conservatori, e successivamente del partito dei Patrioti, nel Parlamento europeo, che potrebbe aprire ad una prospettiva meno favorevole al Green Deal nei prossimi cinque anni. Oggi, quanto è concreto questo grande piano?

PT: Il piano è concreto. L’UE ha formulato direttive e stimolato investimenti sulle tematiche ESG e sull’economia circolare, che sono percorsi di lungo termine. La presenza di certi gruppi meno favorevoli o più critici sul come affrontare queste transizioni impatta relativamente poco. Questi stimoli normativi non sono follie per il business, non vanno contro l’attività di impresa. Le spingono al cambiamento in una certa direzione, e questo chiaramente può generare criticità. Ma si tratta comunque della direzione giusta, la transizione energetica o ecologica è il futuro delle nostre economie. La politica, quindi, impatta fino ad un certo punto, poiché subentrano logiche di puro business.

CC: Quali sono i fattori chiave per comunicare efficacemente la corporate sustainability?

PT: Un concetto chiave è la trasparenza, la sostenibilità spinge le aziende ad essere più trasparenti. In questo senso possiamo individuare 3 pilastri. La strategia di sostenibilità, ossia modelli di business più responsabili, opportunità commerciali per valorizzare la sostenibilità di prodotti e servizi, integrazione della sostenibilità nelle strategie come driver del proprio vantaggio competitivo. C’è poi un tema di implementazione delle strategie, ossia metterle in campo. In altre parole, tutto ciò che riguarda la progettualità. E qui subentrano diversi fattori come efficienza, produttività, timing, priorità. Il terzo pilastro, anch’esso molto importante, è la comunicazione: tutti gli sforzi che vanno in questa direzione devono essere comunicati agli stakeholder. Le aziende spesso trovano difficoltà nel comunicare le tematiche ESG, perché si tratta di argomenti tecnici. Questo negli ultimi anni ha generato fenomeni che non esistevano in passato, come ad esempio il greenwashing non intenzionale, che può esporre l’azienda a cause da parte dei competitor. La comunicazione diventa quindi sempre più strategia nell’ambito della transizione sostenibile, ma per comunicare l’azienda deve avere una strategia solida, dati robusti ed essere in grado di comunicarli agli stakeholder in modo corretto, attivando i meccanismi di stakeholder engagement attraverso una comunicazione sartoriale.

CC: Quali sono le principali tendenze emergenti nel campo della sostenibilità che le aziende dovrebbero monitorare nei prossimi anni?

PT: Le aziende, soprattutto quelle di grandi dimensioni, negli ultimi dieci anni si sono focalizzate su due grandi temi: la decarbonizzazione, che ha ricevuto tanta attenzione mediatica, e la diversità e l’inclusione (D&I). Nei prossimi anni vedo nuovi trend emergere, alcuni dei quali stanno già emergendo. Il primo è sicuramente l’economia circolare, sulla quale l’Italia è ben posizionata in quanto Paese povero di materie prime. L’economia circolare porterà a ripensare completamente come vengono creati, recuperati e rivalorizzati i prodotti materiali del mondo. E qui ci sono tantissime opportunità di business da esplorare. Un altro trend riguarda la natura, ossia tutto ciò che è legato alla biodiversità. Si tratta di un trend che sta suscitando tanto interesse, anche se per il momento manca il know how per lavorare su questo tema (è in fase di sviluppo, iniziano comparire i primi framework sulla misurazione dell’impatto dell’azienda sulla biodiversità). Il terzo trend vede come protagonista la tecnologia, nello specifico l’etica dell’intelligenza artificiale (AI). Nei prossimi 10 anni quindi le strategie delle aziende sulla sostenibilità saranno focalizzate su economia circolare, biodiversità ed etica dell’AI. Il tutto portando avanti il lavoro precedente su decarbonizzare e D&I, trattandosi sempre di percorsi lunghi.

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