“Vi daremo la caccia” diceva l’anno scorso Kash Patel, un fedele di Donald Trump. Si stava riferendo ai giornalisti, additati di cospirare contro il movimento politico del 47esimo presidente degli Stati Uniti. Ora che stanno per ritornare alla Casa Bianca, Patel – nominato da Trump come nuovo capo dell’Fbi – e tanti altri adepti come lui forse gongoleranno di fronte alla crisi di identità e pubblico che i loro nemici delle testate tradizionali stanno attraversando.
Eppure, non è detto che il nuovo mondo mediatico sia così perfetto per Trump e i suoi. La frammentazione delle fonti di informazione, dovuta alla detronizzazione dei grandi giornali, rende più complicato monopolizzare l’attenzione verso un solo uomo, anche se quest’uomo si chiama Donald Trump.
Amici e nemici
The Economist riassume la situazione. Innanzitutto, meno persone guardano la televisione. L’audience complessiva durante la notte delle elezioni è scesa del 25% rispetto alla tornata del 2020 e del 40% in confronto a quella del 2016. Tradotto, le notizie importano a un pubblico sempre minore e compagnie come Netflix, Apple TV+ e Warner Bros Discovery stanno tagliando i programmi di informazione.
In più, i grandi media stanno abbandonando le rispettive tradizionali linee editoriali che di solito erano vicine all’uno o l’altro partito politico. Nel 2008, otto dei più importanti 100 giornali statunitensi non hanno fatto endorsement a un candidato presidenziale. Nel 2024, tre quarti di queste testate non ha preso posizione.
C’è poi il fattore legato ai social media. In passato, Trump poteva contare sullo strapotere di Twitter, indispensabile per diffondere le notizie. X non è la stessa cosa. Le scelte di Musk stanno minando quel rapporto privilegiato che la piattaforma ha sempre avuto con il mondo dell’informazione.
L’ascesa di TikTok sta togliendo ulteriore spazio alle news sui social e, nonostante il nuovo presidente abbia aperto il suo profilo a giugno promettendo di salvarlo da un possibile ban, il futuro del social cinese negli Stati Uniti è incerto.
Secondo The Economist, l’avversione verso le news da parte dei social e dei motori di ricerca – i risultati di Google gestiti dall’intelligenza artificiale danno una serie di risposte riassunte dall’IA invece di offrire dei link diretti – penalizzano i siti conservatori pro-Trump, come Breitbart.
Amici o nemici
L’alternativa è riuscire a far arrivare le informazioni alle persone in contesti diversi, che gli ascoltatori cercano non soltanto per conoscere i fatti politici come sui notiziari. È il caso dei podcast senza fine, come quello di Joe Rogan – che ha intervistato Trump per tre ore – o di altri come Lex Fridman.
Anche in questo caso, però, l’esito non è scontato. È probabile che a Trump abbiano giovato 16 ore complessive di interviste nei podcast durante la campagna elettorale e che una parte consistente dei news influencer si dichiari conservatore, ma tutto può cambiare. La volatilità delle opinioni di queste personalità è molto alta. Lo stesso Rogan, prima di supportare Trump, nel 2020 aveva appoggiato la candidatura del democratico Bernie Sanders. Può succedere ancora.
Effetto boomerang
Due dinamiche stanno cambiando il modo di informarsi: decadenza dei giornali tradizionali e minore attenzione alle notizie. Entrambe sono uno svantaggio per Trump. La prima indebolisce la parte della sua narrazione incentrata sull’importanza di combattere i media mainstream. Non serve combattere un nemico che non c’è o è molto debole. La seconda, come detto, danneggia anche le testate vicine al mondo conservatore.
C’è infine una terza via. E anche questa variabile farebbe male a Trump. Nel 2018, Jonathan Rauch, ricercatore di Brookings e giornalista per The Atlantic, aveva fatto notare che l’astio di Trump nei confronti dei media istituzionali – a gennaio del 2017, nove giornalisti erano stati arrestati mentre documentavano le proteste a Washington durante l’insediamento della nuova amministrazione, tanto per dire – aveva finito per unire le testate.
THE FAKE NEWS MEDIA IS THE OPPOSITION PARTY. It is very bad for our Great Country….BUT WE ARE WINNING!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) August 16, 2018
Oltre 350 giornali si erano accordati e avevano pubblicato in contemporanea editoriali e articoli in difesa della libertà di stampa, condannando le azioni del presidente da ogni angolo del Paese. Per una volta, il frammentato mondo dell’informazione aveva lasciato da parte la concorrenza e aveva trovato un punto comune, basato sulla solidarietà reciproca. Ed era stato efficace.
Continuando la sua battaglia, Trump potrebbe davvero riuscire a cacciarsi nella situazione più scomoda e difficile da gestire, mettendosi quasi tutta la stampa contro. I cari vecchi giornali sono in difficoltà, ma non hanno ancora scritto l’ultima parola.