Rispondere al fabbisogno formativo del giornalismo professionistico, analizzando l’evoluzione dell’etica e della deontologia dell’informazione scientifica nell’epoca delle fake news e dell’intelligenza artificiale, questo l’obiettivo del corso accreditato “Etica dell’informazione: la sfida contemporanea del giornalismo scientifico” che si è tenuto a Bologna lo scorso 13 giugno.
Un seminario promosso dall’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna e dalla Fondazione Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna, realizzato in collaborazione da HC Training di Roma, nell’ambito del progetto di contrasto alla disinformazione in salute promosso da Pfizer.
“La fiducia verso media, istituzioni e operatori sanitari sta calando in tutti gli indici, come si è visto dai dati dell’Edelman Trust Barometer 2024 e quelli del Reuters Institute Digital Report appena pubblicati”, commenta Biagio Oppi direttore comunicazione di Pfizer .“Come comunicatori abbiamo il dovere, ma anche l’opportunità, di costruire un’alleanza con gli operatori dell’informazione – dai giornalisti ai debunker – che possa fronteggiare l’aumento esponenziale di fake news e misinformazione. Occasione come questa servono a promuovere il prebunking tramite l’educazione alla media literacy medico scientifica”.
I partecipanti del panel
Un panel di esperti, coordinato dal giornalista e conduttore TV Luca Telese, ha animato il dibattito presentando studi, report e analisi innovative su come navigare l’era dell’infodemia e utilizzare i new media per una corretta informazione scientifica. Tra gli ospiti, Silvestro Ramunno, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna, Gianluca Pistore, divulgatore scientifico e fondatore dell’Associazione MelanomaDay, Marco Dotti, docente universitario di sociologia e giornalista, Daniela Minerva, giornalista scientifica, e Michelangelo Coltelli, fact checker e fondatore di BUTAC. Massimo Alesii ha introdotto il contributo video del professor Walter Quattrociocchi, che ha analizzato le problematiche connesse all’infodemia e all’uso dei social network nella comunicazione.
“Rilevare e contrastare la disinformazione è sempre più importante, soprattutto nel giornalismo scientifico”, ha affermato Marco Dotti. “I metodi di machine learning hanno mostrato il loro potenziale nell’automatizzare il rilevamento della disinformazione, ma il fattore umano resta fondamentale”.
La comunicazione medico-paziente in ambito oncologico
Proprio parlando di fattore umano, il giornalista di salute Alessandro Malpelo ha affrontato il tema cruciale della comunicazione medico-paziente in ambito oncologico, con particolare attenzione ai tumori alla prostata e al seno insieme a Claudio Zamagni, Dirigente Medico e Responsabile Oncologia Medica al Sant’Orsola di Bologna e Roberto Sabbatini, Dirigente Medico presso l’Unità Operativa Complessa di Oncologia del Policlinico di Modena e Coordinatore del Consiglio AIOM Emilia-Romagna.
“La fiducia è alla base della comunicazione medico-paziente in un contesto esterno dominato dal disordine informativo”, ha sottolineato Claudio Zamagni. “Dobbiamo affrontare le fake news con rigore scientifico e umanità”.
Una comunicazione chiara ed empatica aiuta il paziente
Comunicare in modo chiaro ed empatico può, infatti, aiutare il paziente a distinguere tra informazioni accurate e false. Inoltre, una comunicazione aperta e basata sulla fiducia può incoraggiare il paziente a condividere le proprie preoccupazioni e dubbi, permettendo al medico di fornire informazioni corrette, puntuali e personalizzate e contrastare la disinformazione.
“La comunicazione della diagnosi varia notevolmente in base al genere e all’età del paziente – ha aggiunto Roberto Sabbatini – Le donne sono più propense al dialogo, mentre gli uomini spesso rifiutano il confronto e vivono il tumore come una minaccia alla propria mascolinità”.
Dal seminario è emerso anche che, grazie alle iniziative di prevenzione e alle campagne promosse sul territorio, si sono raggiunti buoni risultati per quanto riguarda gli screening al seno favorendo una consapevolezza profonda nella popolazione femminile. Tuttavia, esiste ancora una resistenza culturale riguardo ai tumori alla prostata, come hanno spiegato i due oncologi, a causa di una scara alfabetizzazione medica della popolazione maschile.
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