Musk vuole comprare OpenAI ma non TikTok

Di il 11 Febbraio, 2025
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Prima ha dichiarato che non intende acquistare l'app cinese, poi ha riunito un gruppo di investitori e fatto un'offerta di 97,4 miliardi di dollari per la società di IA

Le ultime mosse dell’Elon Musk imprenditore sono eclatanti tanto quanto quelle dell’Elon Musk governativo – dove ha chiesto a Donald Trump di smantellare l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale. Sul lato privato, ha prima fatto sapere che non intende partecipare a un’eventuale acquisizione di TikTok. Poi, ha messo insieme una cordata di investitori e ha lanciato un’offerta da 97,4 miliardi di dollari per prendere il controllo di OpenAI.

Lo scorso sabato, 8 febbraio, il canale YouTube Welt Documentary dell’editore tedesco Axel Springer ha pubblicato una video intervista in cui Musk nega di voler partecipare alla potenziale asta per acquistare la divisione statunitense di TikTok, un’ipotesi avanzata a gennaio da Bloomberg.

Più di recente, Trump aveva invece proposto di dare vita a una joint venture in cui una società americana avrebbe in mano il 50% della piattaforma.

Per prendere tempo, il presidente ha posticipato al 5 aprile l’entrata in vigore di una legge che obbliga ByteDance, la proprietaria di TikTok, di vendere le attività americane dell’app a un acquirente statunitense. Altrimenti, il social media verrebbe vietato nel Paese.

Dopo essersi espresso sulla questione TikTok, Musk è tornato a occuparsi di una questione che lo cruccia da tempo: OpenAI.

Il braccio destro di Trump ha messo insieme un consorzio di imprenditori, che – ricorda il Corriere della Sera – include, tra gli altri, la società di investimento Emanuel Capital Management di Ari Emanuel e il venture capitalist Joe Lonsdale.

A questi si aggiungono quattro finanziatori di SpaceX, ossia i gruppi Vy Capital di Alexander Tamas, Valor Management di Antonio Gracias, Atreides Management di Gavin Baker, e Baron Capital Group di Ron Baron.

Tradotta in euro, la loro offerta ammonta a circa 94 miliardi.

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Sam Altman, amministratore delegato di OpenAI. Foto: FMT.

Una strana creatura

Nel 2015, un gruppo di ricercatori e imprenditori, fra cui l’attuale amministratore delegato Sam Altman e Musk, ha fondato OpenAI come organizzazione no-profit. Il suo scopo era sviluppare un modello di intelligenza sicuro e a servizio della comunità.

Tre anni dopo, ricorda il New York Times, a seguito di un aspro confronto sul destino della società, l’attuale proprietario di X, contrario alla transizione da ente no-profit a società a scopo di lucro, ne è uscito.

Così nel 2019, Altman ha accelerato la transizione in una società commerciale, spiega il Corriere della Sera.

Secondo l’Ad, si tratta di un passo necessario per raccogliere i fondi necessari a sostenere i costi di una azienda di AI -, rimpiazzando il sostegno di Musk con gli investimenti di Microsoft.

Tuttavia, il consiglio di amministrazione della no-profit di OpenAI ha continuato – e continua tuttora – a mantenere il controllo legale sulla società commerciale guidata da Altman.

Questo significa che, se le scelte della controllata – sebbene rispecchino gli interessi propri e degli azionisti – vanno contro i valori umani propri di un’organizzazione non a scopo di lucro, il cda può bloccarne le decisioni.

Infatti, come sottolinea il Wall Street Journal in un approfondimento dedicato alla struttura societaria di OpenAI, ogni dipartimento dell’azienda è legalmente vincolato a perseguire le missioni sociali della no-profit.

Non a caso, quando, nel 2023, il cda si è reso conto che la controllata commerciale stava prendendo il sopravvento sulla no-profit, ha licenziato Altman – seppure soltanto per qualche giorno -, dichiarando che non era più la persona idonea a guidare un progetto di IA per il bene della società.

Per evitare situazioni simili, gli azionisti di OpenAI – in primo luogo Microsoft – hanno iniziato a fare pressioni perché l’Ad e i suoi collaboratori trovino un modo per liberarsi dal controllo del board no-profit.

Scusa se disturbo

È in questo processo di riorganizzazione societaria che si è inserito Musk.

Infatti, scrive il Wall Street Journal, se da un punto di vista legale OpenAI non avrà troppi problemi a riorganizzarsi – dato che la società è registrata in Delaware, uno Stato noto per l’elasticità delle sue leggi in materia aziendale -, è la redistribuzione degli asset il vero problema.

Non è infatti possibile semplicemente trasferirli da un’ente no-profit a una società a scopo di lucro, ma la no-profit, in cambio della cessione dei suoi asset, deve ricevere un valore economico equivalente.

Poiché non esiste un valore fisso di queste operazioni e più aumenta la valutazione societaria, più alto è il costo che l’azienda dovrà pagare alla no-profit, Musk ha presentato un’offerta proprio per la no-profit, allo scopo di influenzarne il valore.

Dunque, Musk vuole alzare la valutazione per complicare l’operazione di distaccamento di OpenAI dalla sua no-profit, costringendo la società commerciale a pagare molto di più di quello che Altman spera.

Per ora, comunque, la risposta di Altman è stata negativa. “No grazie, ma se vuoi possiamo comprare a 9,74 miliardi di dollari”, ha scritto su X l’Ad di OpenAI.

In ogni caso, se anche il cda della no-profit ritenesse congrua la proposta di Musk, potrebbe comunque decidere di non accettarla nel caso giudicasse le intenzioni dell’acquirente contrarie alla missione sociale dell’ente benefico.

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Journalist writing on European politics, tech, and music. Bylines in StartupItalia, La Stampa, and La Repubblica. From Bologna to Milan, now drumming and writing in London.

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