La politica intesa come lotta per il potere è anche – o soprattutto – costruzione di senso, rappresentazione simbolica e narrazione. Richard Little, professore emerito all’Università di Bristol, nel 2007 pubblicò la prima edizione di The Balance of Power in International Relations: Metaphors, Myths and Models, in cui affronta uno dei concetti centrali della teoria delle relazioni internazionali, l’equilibrio di potere.
Lo fa partendo dall’analisi di quattro testi fondanti: Politics Among Nations (1948) di Hans J. Morgenthau, The Anarchical Society (1977) di Hedley Bull, Theory of International Politics (1979) di Kenneth N. Waltz e The Tragedy of Great Power Politics (2001) di John J. Mearsheimer.
In particolare, Little esplora come le metafore utilizzate nella comunicazione politica influenzino la percezione e l’interpretazione dell’equilibrio di potere, poiché i leader politici le utilizzano sia per rendere comprensibili concetti complessi sia per guidare il comportamento degli Stati.
Rappresentare l’equilibrio di potere come una “bilancia” o un “gioco” può avere implicazioni potenti su come i governi si percepiscono e agiscono in ambito internazionale, mentre altre metafore come quella di “mercato” o di “ecosistema” segnalano che l’interazione tra gli stati presuppone la generazione di un equilibrio dinamico, legato soprattutto agli scambi commerciali.
Little si concentra anche sui miti associati all’equilibrio di potere, identificandone e decostruendone alcuni, sia storici sia contemporanei, per evidenziare come abbiano plasmato le politiche internazionali. Uno dei miti principali è l’idea che l’equilibrio sia una condizione naturale e inevitabile; Little critica questa visione, argomentando che l’equilibrio di potere è in realtà un costrutto sociale influenzato da norme, credenze e pratiche politiche specifiche.
La comunicazione politica è essenziale nella creazione e nel mantenimento dei miti: attraverso discorsi, documenti ufficiali e retorica, i leader possono rafforzare e giustificare determinate politiche, legittimando azioni militari, alleanze strategiche, partnership commerciali e industriali. Alla stessa conclusione, ma per un’altra strada, è poi arrivato Thomas Piketty in Capitale e ideologia, dove basa il concetto di ideologia su un ampio corpus di fonti: dibattiti parlamentari, discorsi, programmi e piattaforme elettorali dei partiti, testi vescovili dell’inizio dell’XI secolo, scritti dell’Ottocento del vicepresidente degli Stati Uniti John Calhoun per giustificare la schiavitù, testi del presidente Xi Jinping e del Global Times sul sogno neocomunista cinese, tweet di Donald Trump, e articoli del Wall Street Journal e del Financial Times.
La comunicazione politica gioca un ruolo cruciale anche nella costruzione delle identità nazionali. I discorsi pubblici dei leader politici contribuiscono a definire amici e nemici, minacce e alleati, e gli stati agiscono in base a queste costruzioni identitarie.
La retorica durante la Guerra Fredda contribuì a delineare chiaramente i blocchi contrapposti e a giustificare le strategie di contenimento e deterrenza. Little conclude che l’equilibrio di potere è un concetto prismatico, che richiede una comprensione sfumata delle sue molteplici dimensioni, e invita i lettori a considerarlo non solo come un fenomeno strutturale, ma come un prodotto delle pratiche sociali e delle costruzioni discorsive.