Media politics. La Fed e il suo linguaggio 

Di il 26 Maggio, 2024
Sembra che la comunicazione delle banche centrali e dei loro governatori sia importante quanto le loro decisioni ma sarebbe un errore di prospettiva, perché la comunicazione è parte integrante della policy
(Nella foto: Jerome Powell, Presidente della Federal Reserve degli Stati Uniti)

Durante i mandati di Alan Greenspan come governatore della Fed (1987-2006), i giornalisti cercavano di intuire le future politiche economiche della banca centrale sulla base degli incartamenti contenuti nella borsa dello stesso Greenspan: non per quello che c’era scritto, che era impossibile leggere, ma per la loro voluminosità.

Se la borsa era gonfia, era probabile una stretta monetaria. Ovviamente Greenspan teneva delle regolari conferenze stampa, ma la semiotica delle sue azioni e del suo personaggio rappresentava un richiamo irresistibile per i media. Nel 2012 Mario Draghi fermò istantaneamente la speculazione sull’euro pronunciando, in circa tre secondi, il suo famoso “Whatever it takes” durante un evento pubblico ed estemporaneo (la Global Investment Conference a Londra).

Al potere della parola dei banchieri centrali qualche anno fa Alberto Orioli ha dedicato un saggio (“Gli oracoli della moneta”), con la prefazione del linguista Tullio De Mauro e servendosi, tra le altre, delle teorie di Noam Chomsky, delle suggestioni letterarie di Shakespeare e di quelle filosofiche di Nietzsche. 

Sembra allora che la comunicazione delle banche centrali e dei loro governatori sia importante quanto le loro decisioni ma sarebbe un errore di prospettiva, perché la comunicazione è parte integrante della policy: la banca centrale deve anche orientare i mercati finanziari, dando indicazioni sulle mosse future senza prendere impegni troppo vincolanti. Per questo, da sempre, i banchieri centrali usano gli eventi non ufficiali per precisare o sfumare quello che viene detto nelle riunioni ufficiali.

La comunicazione della Federal Reserve

Quest’anno, tra il 22 marzo e il 5 aprile, l’Hutchins Center on Fiscal and Monetary Policy della Brookings Institution ha condotto una survey tra rappresentanti del mondo accademico, dei think tank e delle aziende per valutare la comunicazione della Federal Reserve.

Tra i risultati, il primo interessante è quello secondo il quale la comunicazione della banca centrale americana, nel suo complesso, è valutata positivamente, ma gli accademici e i think tank la valutano più positivamente dei dirigenti d’azienda.

Il secondo risultato riguarda le modalità di comunicazione considerate più utili ed efficaci: ai primi posti ci sono le conferenze stampa, i Summary of Economic Projections (previsioni macroeconomiche rilasciate quattro volte all’anno) e gli statement ufficiali del Federal Open Market Committee (FOMC); agli ultimi posti le interviste e la copertura da parte dei media, rivelando quindi un certo grado di avversione degli esperti nei confronti dell’intermediazione della stampa.

Un’altra domanda riguarda la capacità dei banchieri centrali di spiegare chiaramente la propria visione sull’economia e sui piani di politica monetaria: le risposte sono positive, anche in questo caso con una valutazione maggiore da parte di accademici e think tank.

La condivisione efficace delle decisioni

Si confermerebbe quindi l’ipotesi che la Fed comunichi elettivamente a un’audience esperta e si potrebbe allora porre il tema della condivisione efficace di scelte di policy, che hanno effetti profondi sulla vita dei cittadini americani, con i cittadini stessi.

Ci sono poi una serie di domande dedicate strettamente alla politica monetaria e infine alcuni suggerimenti in chiaro, tra cui quello disincantato di Allen Sinai, economista non accademico, secondo il quale bisogna “riconoscere la natura stocastica dell’economia e dell’inflazione ed evitare che le previsioni diventino obiettivi politici a lungo termine. Sappiamo che queste non si rivelano quasi mai essere la realtà.”

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Alberto Paletta si occupa di comunicazione e relazioni istituzionali presso un gruppo finanziario. Pur attratto dalla politica attiva, preferisce dedicarsi a quella contemplativa. Milanese d'adozione e di elezione, un po' come Stendhal.