Le crisi in Medioriente e in Ucraina, delle quali non si vede la fine, testimoniano la definitiva sconfitta del multilateralismo, inteso come l’orientamento ad assumere politiche comuni e coordinate? Forse la sconfitta del multilateralismo ideologico, quell’atteggiamento che considerava questa modalità moralmente superiore ad altre strategie di politica estera e la trattava come un fine in sé, come avvenne nel processo della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE) negli anni ’70 e ’80. Ma secondo alcuni autori che hanno trattato e discusso il tema, come K. E. Jørgensen (The European Union and international organizations), M. Barnett e M. Finnemore (Rules for the World: International Organizations in Global Politics) e J. G. Ruggie (Multilateralism Matters: The Theory and Praxis of an Institutional Form), il multilateralismo non si esaurisce nella sua ideologia, sebbene la valutazione dipenda dalla scuola politica di appartenenza.
Secondo la prospettiva realista, le istituzioni multilaterali sono semplici arene in cui gli Stati, soprattutto quelli più potenti, interagiscono per perseguire i propri interessi. È una visione in cui le istituzioni non hanno un impatto indipendente significativo sulle dinamiche internazionali, poiché gli Stati utilizzano queste arene per avanzare le proprie agende, ma le decisioni e gli esiti finali sono dettati dai rapporti di forza tra i partecipanti. Al contrario, secondo la prospettiva istituzionalista, le organizzazioni internazionali possono educare gli Stati sui loro interessi comuni, promuovendo la cooperazione e mitigando i conflitti. In questa visione, le istituzioni sarebbero attori semi-indipendenti che possono modellare le preferenze degli Stati e influenzare le politiche globali, riducendo l’importanza della politica di potenza e favorendo una maggiore cooperazione e pace internazionale. Ci sarebbe quindi un legame tra la crescita delle istituzioni multilaterali e il declino delle guerre interstatali, con un forte effetto di stabilizzazione sulla governance globale.
Quale che sia la visione prevalente tra queste due, la crisi del multilateralismo e delle organizzazioni internazionali ha radici storiche profonde: la prima grande crisi si è verificata con il fallimento della Società delle Nazioni, istituita dopo la Prima guerra mondiale. La sua incapacità di prevenire la Seconda guerra mondiale ha evidenziato i limiti di questo approccio in un contesto di potere fortemente squilibrato. Durante la guerra fredda, le Nazioni Unite hanno affrontato una serie di sfide legate alla divisione del mondo in blocchi contrapposti, ma il veto dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza ha spesso paralizzato l’azione dell’Onu, con la periodica richiesta di molti paesi di un allargamento e una riforma del diritto di veto stesso.
Oltre a cause storiche, sono ormai evidenti forti inefficienze che derivano dal trade-off tra inclusione, legittimità ed efficacia: a parte il caso dell’Onu, in generale con l’aumento del numero di stati membri nelle organizzazioni multilaterali cresce anche il numero di “veto players”. Infine, per molti studiosi e osservatori, esiste un crescente squilibrio tra la mancanza di leadership globale e l’espansione delle sfide internazionali da affrontare. Questo ha portato a una gestione inefficace di problemi come il cambiamento climatico, la sicurezza internazionale e la povertà, tre cavalieri dell’Apocalisse che ancora cavalcano per il mondo.