C’è qualcosa che lega Kiev, Tbilisi, Rafa, Tapei e molte altre parti del mondo: da questi luoghi partono appelli a stati e organizzazioni internazionali affinché utilizzino uno strumento del loro arsenale a difesa di cause che meritano protezione. Lo strumento in questione a cui si fa appello sono le sanzioni internazionali. Chi invoca le sanzioni lo fa credendo che la loro applicazione sia funzionale alla causa che difende.
Una domanda ricorrente nel dibattito pubblico è: le sanzioni funzionano davvero? Potrebbe non sorprendere che le risposte a questa domanda non siano mai neutre, ma cariche di intenti politici e strategici. Le sanzioni, infatti, non sono semplicemente uno strumento tecnico, ma un atto politico che riflette e alimenta determinate narrazioni.
Le sanzioni internazionali vengono per lo più adottate quando si ritiene che siano minacciati principi fondamentali come la democrazia, la sicurezza interna, il rispetto dell’integrità umana e la sovranità territoriale. Dall’invasione di larga scala del territorio ucraino da parte della Federazione Russa, non c’è dubbio che il tema delle sanzioni internazionali sia entrato prepotentemente nel dibattito pubblico.
Per ogni sanzione, c’è un’entità sanzionata che potrebbe a sua volta reagire con la stessa arma, o appellarsi sostenendo la sproporzione dell’atto, cercando di delegittimare queste misure ed erodendo il consenso politico nei paesi che le hanno imposte. Gli strumenti per questa delegittimazione non mancano.
Le sanzioni internazionali non sono quasi mai imposte per la violazione comprovata di norme codificate e condivise. Sono decisioni politiche prese da organi politici, non da istituzioni indipendenti. Ad esempio, nel caso attuale, i governi dei paesi occidentali, come Stati Uniti e l’Unione Europea, hanno deciso di imporre sanzioni alla Russia basandosi su una valutazione politica della gravità delle condotte di Mosca.
Queste misure sono uno strumento di politica internazionale, ma ciò può lasciare insoddisfatti poiché la loro natura politica le rende parziali: perseguono gli interessi della parte che le impone. Per condividerle, bisognerebbe prima sostenere gli interessi della parte che le ha imposte.
Ma c’è un altro fronte pronto ad erodere il sostegno alle sanzioni internazionali: il loro costo. Le sanzioni, infatti, non sono mai un pasto gratis, neanche per chi le emana. Generano costi di conformità per gli operatori commerciali che rischiano multe in caso di inosservanza degli obblighi di legge e, in molti casi, sono chiamati a interrompere relazioni economiche precedentemente profittevoli. L’interrogativo “le sanzioni funzionano davvero?” diventa così oggetto di uno scontro politico di più ampia portata. Di fronte alla difficoltà nel dimostrarne l’efficacia, ci si potrebbe chiedere: che senso ha sostenere i costi di una strategia che non produce i suoi effetti?
Per capire se le sanzioni funzionano, è fondamentale comprendere gli obiettivi di chi le ha imposte, senza nutrire aspettative irrealistiche. Le sanzioni sono uno degli strumenti di politica estera degli stati, inseriti in un sistema internazionale complesso. Non si può chiedere a questo strumento di essere la panacea di tutti i mali. In molti casi, le sanzioni gravano su soggetti che hanno speso tutto il loro capitale politico per compiere gli atti sanzionati e che, anche di fronte a sanzioni internazionali, non saranno disposti a tornare indietro. Aspettarsi che le sanzioni portino a un cambiamento immediato nel comportamento del bersaglio potrebbe essere irrealistico. Quindi, a cosa servono?
Le sanzioni sono uno strumento di pressione che opera all’interno di un quadro più ampio e complesso di diplomazia e politica internazionale. Per valutare se le sanzioni funzionano, bisogna comprendere le diverse logiche che le guidano:
- in molti casi, le sanzioni hanno una finalità preventiva, cercando di impedire eventi prima che accadano, dissuadendo comportamenti indesiderati ancor prima che si concretizzino;
- in altri casi, hanno funzione punitiva nei confronti di atti già commessi, per i quali si ritiene necessaria una dichiarando ufficiale di disapprovazione da parte della comunità internazionale, accompagnata da misure conseguenti.
Se in questi due casi le sanzioni mirano a colpire direttamente un particolare bersaglio, non può passare inosservato che spesso le sanzioni sono concepite per produrre effetti non solo sull’autore dell’atto sanzionato, ma anche su spettatori terzi.
- Le sanzioni hanno spesso anche un obiettivo deterrente, scoraggiano altri attori dal compiere azioni simili in futuro e fungendo da monito per chiunque consideri l’adozione di comportamenti analoghi a quelli sanzionati.
Allora è evidente che la domanda “sono efficaci?” non è di facile risposta. I detrattori delle sanzioni, tra cui rientrano i soggetti sanzionati, cercano di erodere il consenso pubblico facendo leva su una falsa equivalenza: se lo scopo delle sanzioni fosse l’interruzione del conflitto e il crollo dell’economia del paese colpito, il mancato raggiungimento di questi obiettivi dimostrerebbe l’inutilità dello strumento.
Per valutare la congruità delle sanzioni ed esprimere giudizi sulla loro efficacia, è necessario orientare la narrazione sullo scenario controfattuale: quale sarebbe la situazione senza di esse? Che siano simboliche, o siano materiali, in grado di infliggere danni economici e limitare la capacità di azione dei destinatari, l’importanza delle sanzioni non deve essere sottovalutata. Un indicatore della loro efficacia potrebbe essere la crescente complessità delle strutture messe in piedi per evaderle. La sofisticazione richiesta per aggirare le sanzioni potrebbe dimostrare che queste misure infliggono un costo significativo alla parte avversa, rendendo più difficili e costose le loro operazioni.
Qualunque sia la ragione per imporle, la capacità delle sanzioni di raggiungere i loro scopi dipende sempre più dalla loro implementazione e dalla capacità di rispondere alle strategie adottate dalle parti sanzionate per aggirarle. Per comprendere l’impatto potenziale delle sanzioni, si consideri che una ricerca di Transcrime, centro di ricerca su criminalità e innovazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, all’inizio dell’invasione di larga scala del territorio ucraino, ha mappato oltre 1.400 imprese europee in UE, Regno Unito e Svizzera con a capo 33 imprenditori russi tra i più influenti.
Utilizzando indicatori di anomalia sviluppati da Transcrime e il suo spin-off Crime&tech, è emerso che le società europee con maggiore esposizione alle influenze di imprenditori russi sanzionati presentano strutture proprietarie particolarmente complesse. Ad esempio, queste strutture coinvolgono in media altre 5,9 persone giuridiche (contro lo 0,5 della media europea), e separano con due strati di intermediazione la titolarità effettiva (in Europa la media è di 0,15, il che significa un controllo quasi diretto senza intermediazione).
In questo contesto, l’effettiva applicazione delle sanzioni deve essere il primario focus dell’attenzione pubblica. Transcrime coordina il progetto KLEPTOTRACE*, finanziato dalla Commissione europea, che si inserisce nel dibattito con analisi scientifiche e proposte tecniche per migliorare l’efficacia delle sanzioni. Il progetto vede la collaborazione di attori di diverso profilo, tra cui ricercatori, società civile e autorità competenti, con l’obiettivo di comprendere le attuali limitazioni del sistema di implementazione delle sanzioni e sostenere le attività necessarie affinché le sanzioni raggiungano il loro scopo. Inoltre, Transcrime sviluppa indicatori e strumenti avanzati che permettono alle autorità di tracciare con sempre maggiore precisione i beni colpiti dalle sanzioni, risalendo ai beneficiari effettivi che si nascondono dietro strutture proprietarie opache.
Le sanzioni internazionali sono strumenti complessi, carichi di significati e implicazioni. Comprenderne la logica è essenziale per valutarne l’efficacia e giustificarne l’uso. In un mondo sempre più interconnesso e complesso, le sanzioni rimangono uno degli strumenti chiave della diplomazia internazionale, con tutte le loro sfaccettature e controversie.
* Il progetto KLEPTOTRACE è stato cofinanziato dall’Unione Europea (“Internal Security Fund”) per combattere la corruzione transnazionale e l’aggiramento delle sanzioni, e per facilitare il recupero dei relativi proventi illeciti all’interno dell’Unione Europea. Il progetto risponde alle lacune nella comprensione degli schemi transnazionali utilizzati dai cleptocrati e ai limiti dei sistemi giuridici, delle capacità investigative e del coinvolgimento della società civile e del settore privato nell’individuazione e nella denuncia delle condotte corruttive. Questi obiettivi vengono perseguiti attraverso il monitoraggio degli schemi criminali a livello transnazionale e lo sviluppo di una serie di strumenti data-based.