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Il Super Bowl americano è, a tutti gli effetti, il gotha della pubblicità, l’Olimpo della visibilità negli Stati Uniti e non solo. Ma resta da capire se valga davvero la pena per le aziende investire così tanto per essere presenti.
I numeri sono incontrovertibili: quest’anno, la partita di football più importante – cioè la finale tra la squadra vincitrice in National Football Conference – Nfc – e quella in American Football Conference – Afc -, è stata vista da 126 milioni di persone.
La popolarità, però, non è da ascriversi soltanto allo spot proiettato in diretta: per giorni e giorni seguono meme, recensioni, commenti su quanto accaduto durante la serata. Ad esempio, il video del grande ritorno di Rihanna, in dolce attesa, ha raggiunto 260 milioni di visualizzazioni nel corso dell’ultimo anno.
Nfl, il canale ufficiale del Superbowl, in sole 24 ore ha registrato 31 milioni di visualizzazioni lo spettacolo durante l’intervallo di Kendrick Lamar, il momento musicale promosso da Apple Music.
Si intuisce che una simile concentrazione di occhi e di post rende il Superbowl una vetrina perfetta per le aziende che commercialmente devono andare lì dove converge l’attenzione.
Esserci quando conta
“Put your brand where it matters”, recita l’intestazione della Cnn Business, che ha classificato le pubblicità presenti in questa edizione come “divertenti” e “familiari”.
Soprattutto, queste inserzioni sono costose: quest’anno si è raggiunta la vetta di otto milioni per 30 secondi, un prezzo che secondo Kim Whitler, professore di marketing all’Università della Virginia, vale la pena pagare per raggiungere la variegata comunità che si costituisce attorno all’Nfl.
Nella prima edizione del 1967, il prezzo era di circa 37mila dollari, mentre il milione si è raggiunto nel 1995.
L’incremento è stato poi costante, con un salto di 50mila dollari con l’ingresso dal 2000 in poi. L’aumento più repentino registrato tra il 2021 e il 2022, passando da 5,5 milioni a 6,5 milioni.
Fino a quest’anno: un milione in più è stato richiesto, rispetto al 2024, per avere una finestra nell’avvenimento poderoso dell’anno americano, una cifra che a quanto pare neanche le aziende di criptovalute, ben presenti negli scorsi anni, possono permettersi.
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Foto: Wikimedia Commons.
Il Super Bowl e gli altri
La dimensione di questa spesa si comprende solo in senso relativo. Una réclame durante gli Oscar trasmessi da Abc arriva al massimo a due milioni di dollari, per un audience più contenuta di 19 milioni di spettatori.
Durante il nostrano Sanremo, per ovvie ragioni di scala, per una pubblicità di 15 secondi si può stare nei 150mila euro, ma i listini sono aumentati del 7% rispetto al 2024.
Lo spazio più costoso non è a inizio serata, come si potrebbe pensare, bensì la telepromozione delle 23. Per circa un minuto di spazio in quella fascia la cifra richiesta supera il milione di euro.
Ad esempio, a fare la differenza può essere lo share che viene registrato e che è il parametro di riferimento per vendere lo slot pubblicitario.
Semplificando, lo share in tarda serata salirebbe, perché calcolato su un numero di televisori accesi che è complessivamente inferiore – anche perché sono incluse le piattaforme guardate attraverso la tv – ma concentrato sul programma.
A questo fattore si aggiungerebbe anche una ridotta concorrenza sugli altri canali in quell’orario, così come l’ingresso in fasi più calde della competizione.
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Lo stadio State Farm Stadium di Glendale, in Arizona, dove si è disputata la finale 2023 del Super Bowl. Foto: Flickr.
I costi aggiuntivi
Le valutazioni da fare rispetto a costi così ingenti sono tante, anche perché gli spot stessi per essere girati hanno già un impegno di spesa di svariati milioni, per le celebrities coinvolte, ma anche per la scrittura e la regia.
Fast Company ha stimato, seguendo la filiera di creazione dello spot, che per l’agenzia creativa si possono spendere tra i tre e i 6 milioni di dollari.
I costi di produzione e post-produzione si aggirano attorno ai cinque milioni di dollari, la stessa cifra spesa per il cast. Le licenze musicali possono arrivare invece fino a tre milioni. In totale, ci si attesta già sui 25.
Per avere uno spazio di 30 secondi la sera della partita, Fox chiede otto milioni di dollari e un ulteriore investimento pubblicitario di altri otto milioni sui propri canali durante il resto dell’anno. Dunque, 16 milioni in totale.
In più, le aziende investono sulla promozione dello stesso contenuto anche sugli altri social media, spendendo fino a dieci milioni per le inserzioni sulle varie piattaforme.
Chi c’era
Quest’anno sono circa 50 i brand che si sono posizionati durante il Super Bowl.
Tra questi, Ritz, Pfizer, Pringles, Msc, Reese’s, Disney+, Duracell, Budweiser, Uber Eats, Stella Artois – che ha reclutato persino David Beckham e Matt Damon. E, ancora, Michelob Ultra, con Willem Defoe e Catherine O’Hara, Coffee Mate, ma anche Meta e Booking.
Secondo il New York Times, la migliore pubblicità sarebbe proprio legata all’IA, ma è di ChatGpt. Un’ode pixelata al progresso tecnologico, seguita sul podio dalla pubblicità della Nike, dedicata all’empowerment femminile, che trasforma gli svariati pregiudizi legati al “non puoi” in “allora fallo”.
Più politica l’inserzione della Foundation to Combat Antisemitism, girata da Snoop Dog e Tom Brady, per contrastare l’odio e l’antisemitismo e diffondere un messaggio di tolleranza.
Vale o non vale la pena
Una fonte interna a Dunkin Donuts, lo scorso anno, ha rivelato che l’azienda di ciambelle più famosa del mondo avrebbe venduto il numero più alto di ciambelle in un giorno proprio dopo il Super Bowl.
Non bisogna però cadere in conclusioni semplicistiche: non è il ritorno della pubblicità in senso classico, perché nell’ecosistema mediatico frammentato resta impensabile affidarsi in modo univoco a un singolo appuntamento.
Quello che fa la differenza è la persistenza successiva e la capacità di moltiplicare pezzi dello stesso contenuto altrove.
Quanto al tasso di ritorno, è difficile fare dei pronostici quantitativi: rientra forse più negli ambiti dell’adv-washing e del ritorno reputazionale, ma in un senso molto specifico.
Si tratta di cifre astronomiche su ogni mercato, compreso quello audiovisivo americano, come denuncia il cortometraggio True to Texas, ispirato a True Detective e che lamenta la mancanza di fondi per l’industria filmica.
Il messaggio è chiaro. Essere proiettati durante il Super Bowl significa innanzitutto annunciare una potenza di fuoco notevole.
Non tutte le pubblicità si distinguono per essere memorabili o per la loro capacità comunicativa, ma tutte vogliono affermare in modo inequivocabile: se sono qui, è perché me lo posso permettere.