Uno studio condotto dalla società di marketing Stagwell ha rivelato che il business delle notizie è stato “sistematicamente demonetizzato” ed è vittima di un “pregiudizio significativo” rispetto a opportunità pubblicitarie più favorevoli, come lo sport e l’intrattenimento. I gruppi editoriali sostengono che i timori che la reputazione dei brand possa essere pregiudicata dal loro accostamento alle news siano infondati, e che questo pregiudizio, insieme all’utilizzo delle blacklist, compromette i finanziamenti per il giornalismo di qualità.
Le blacklist pubblicitarie che penalizzano il giornalismo
Nel processo di posizionamento della pubblicità sui siti delle testate giornalistiche, si utilizza un software che esclude automaticamente centinaia di parole chiave e argomenti, la cosiddetta blacklist, ossia “lista nera”. Un esempio riguarda la parola “Parigi“, ancora inserita in molte blacklist pubblicitarie a seguito degli attacchi terroristici di nove anni fa. Secondo una ricerca della piattaforma di sicurezza Mantis, meno della metà della copertura delle Olimpiadi è stata considerata sicura per i brand a causa di questi filtri.
Lo studio che smentisce i timori dei brand
Nonostante i timori diffusi, lo studio di Stagwell, che ha coinvolto 22.000 adulti nel Regno Unito e 50.000 negli Stati Uniti, ha dimostrato che i lettori non reagiscono negativamente ai brand le cui pubblicità appaiono accanto a contenuti giornalistici, e che i brand possono inserire la loro pubblicità accanto a qualsiasi contenuto di qualità, indipendentemente dall’argomento.
Secondo Mark Penn, CEO di Stagwell ed ex Chief Strategy Officer di Microsoft, la sicurezza del brand ha spinto molti inserzionisti ad allontanarsi dalle notizie, ma ha sottolineato che tali preoccupazioni sono state “decisamente esagerate“.
L’impatto delle blacklist sull’industria dei media
Jamie Credland, CEO di World Media Group, ha descritto come un “vero problema” il fatto che i brand vengano bloccati o scelgano di non inserire le loro pubblicità accanto ai contenuti giornalistici.
Rob Bradley, vicepresidente della parte Digital Revenue Strategy and Operations di CNN, ha criticato l’uso di software troppo semplicistici per il posizionamento automatico degli annunci, citando esempi di partite di calcio bloccate a causa dell’uso della parola “attacco” o di notizie positive su scoperte scientifiche escluse per la presenza di termini legati alle malattie.
La risposta dei media
In risposta a queste difficoltà, alcuni editori hanno sviluppato strumenti propri per garantire che gli inserzionisti non discriminino determinati contenuti. CNN, ad esempio, ha lanciato il suo Sentiment Analysis Moderator, uno strumento che utilizza l’intelligenza artificiale per analizzare il contesto delle frasi e determinare se i contenuti sono adatti alle pubblicità dei brand o meno.