La strategia di Steve Bannon (e di Trump) contro i media

Di il 13 Febbraio, 2025
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Il piano è semplice ma dispendioso: sovraccaricare gli organi di informazione con una quantità insostenibile di dichiarazioni e annunci divisivi, senza mai farli rifiatare

Secondo Steve Bannon, i conservatori sono “un’opposizione controllata”, mentre, come aveva già detto sette anni fa, la “vera opposizione sono i media”.

E per sconfiggere i mezzi di informazione, quello che bisogna fare è sommergerli di novità, fare dichiarazioni divisive e annunciare così tanti provvedimenti al limite dell’accettabile nel giro di poche ore da impedire a giornali e tv di soffermarsi su ciascuno di loro e analizzarli a fondo.

Bannon aveva riassunto questo concetto nel 2019 con l’espressione “to flood the zone”, inondare l’area.

Le prime settimane della seconda amministrazione Trump, ha detto a Ross Douthat del New York Times, sono state “il culmine” di questa strategia.

Nel frattempo, Bannon è tornato al centro della scena mediatica – e politica – del Paese, dopo aver scontato quattro mesi nella prigione federale di Danbury, in Connecticut.

L’ex consigliere di Trump, fuoriuscito dalla cerchia dei collaboratori del presidente nel 2017, è stato condannato per oltraggio al Congresso perché, ricorda Il Post, si era rifiutato di testimoniare di fronte alla commissione di inchiesta della Camera che indagava sull’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.

Ha terminato il suo periodo in carcere il 29 ottobre dello scorso anno e martedì scorso è stato di nuovo condannato per frode, con la condanna di aver utilizzato per scopi personali le donazioni di una raccolta fondi chiamata “We Build the Wall” per finanziare il muro al confine tra Stati Uniti e Messico.

Essendosi dichiarato colpevole, Bannon ha potuto evitare di tornare in carcere e continuare il suo podcast di estrema destra, War Room, lanciato nel 2019.

Il nuovo Segretario alla Salute degli Stati Uniti, Robert Kennedy, durante un comizio elettorale con Donald Trump. Foto: Wikimedia Commons.

Il metodo Bannon

Bannon è ritornato in auge come podcaster, ma le sue strategie non sono mai passate di moda nel circolo trumpiano.

Nelle ultime settimane, l’ex numero uno del sito conservatore Breitbart si è concesso a diverse interviste con alcuni importanti testate americane, dal New York Times al Wall Street Journal.

Tra queste, c’è anche Semafor. Al suo direttore Ben Smith, Bannon ha affermato che le scelte di Donald Trump di firmare decine di ordini esecutivi nei primi due giorni di presidenza, le sue controverse nomine governative e la lotta di Elon Musk contro le agenzie federali, come l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale – Usaid – hanno funzionato.

“I media sono in crollo totale”, ha detto.

A Smith, Bannon ha fatto un esempio di come la strategia “flooding the zone” funzioni in concreto.

Lo scorso 30 gennaio, l’udienza per la conferma di Robert Kennedy non stava andando bene. La cugina Caroline lo aveva definito “un predatore” in una lettera inviata ai senatori che presiedevano l’audizione, durante la quale aveva ricevuto molte critiche.

A quel punto, Trump, per distogliere l’attenzione, ha indetto la conferenza stampa sulla tragedia dell’incidente aereo a Washington, facendo dichiarazioni improbabili sulla presunta responsabilità delle assunzioni derivate dalle politiche di diversità e inclusione – DEI -, spostando quindi l’attenzione dall’audizione di Kennedy.

Nel pomeriggio di oggi, Kennedy ha ricevuto in Senato la conferma alla sua nomina di Segretario alla Salute, con 52 voti favorevoli – tutti dal partito repubblicano – e 48 contrari.

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Steve Bannon, conduttore del podcast War Room. Foto: Wikimedia Commons.

Nuove vesti

Nel frattempo, Bannon si è reinventato podcaster.

Uno studio del 2023 del centro di ricerca progressista Brookings Institution, menzionato dal Wall Street Journal, ha analizzato 36mila episodi di vari podcast e ha concluso che War Room è una delle principali fonti di diffusione di “infondate teorie cospirazioniste”.

Nonostante non sia trasmesso da Spotify e YouTube, è tra i podcast più ascoltanti su Apple e i parlamentari repubblicani fanno a gara per farsi invitare.

“Solo i programmi in seconda serata possono competere” con War Room, ha dichiarato un direttore di comunicazione del Senato al Wall Street Journal.

Secondo Tim Miller, un ex portavoce del Comitato Nazionale Repubblicano durante la campagna di Mitt Romney del 2012 e aspro critico di Trump, il rischio – già in atto – è la radicalizzazione dei parlamentari conservatori.

“Nel lungo termine, il Partito Repubblicano assomiglierà sempre di più” al pubblico di War Room, ha detto Miller.

Non a caso, diversi funzionari della seconda amministrazione Trump hanno potuto costruire un rapporto con il movimento Make America Great Again e guadagnare popolarità proprio attraverso la loro presenza al podcast di Bannon.

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Journalist writing on European politics, tech, and music. Bylines in StartupItalia, La Stampa, and La Repubblica. From Bologna to Milan, now drumming and writing in London.

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