La formula di Tara Palmeri per un giornalismo di qualità, ma non noioso

Di il 24 Marzo, 2025
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La reporter ha lasciato Puck e vuole mostrare al pubblico "le varie fasi della filiera dell'informazione". Su Substack e YouTube usa un linguaggio informale per i suoi approfondimenti
La versione originale di questo articolo è stata pubblicata in lingua inglese dallo stesso autore il 22 marzo 2025.

“Penso che qualsiasi giornalista sia d’accordo: non ci piace troppo chi ci modifica gli articoli, giusto?”, scherza Tara Palmeri quando le viene chiesto perché abbia lasciato un lavoro ben più pagato della media del settore. E, per di più, dove “scrivere è davvero bello”.

All’inizio di marzo, Palmeri si è dimessa da Puck, una startup nel settore dell’informazione con sede a New York, dove aveva tre condizioni uniche per una giornalista di 37 anni: uno stipendio da 260mila dollari, delle quote di partecipazione nella società e una sua rubrica.

Ma, nonostante i benefit e una carriera passata fra alcune delle redazioni più prestigiose degli Stati Uniti, le mancava qualcosa.

“Il modo di scrivere di Puck è elegante. Ha uno stile tipico di una rivista, molto caratteristico, ma rappresenta la voce del direttore, non la mia”, racconta a Mediatrends.

“Era arrivato il momento di essere me stessa”.

Oggi, i suoi tre anni nella startup sembrano il preludio al suo nuovo progetto.

“Non ci piace quando mettono mano al nostro lavoro, cambiando quello che volevamo dire o aggiungendo la loro interpretazione”.

Oltre all’indipendenza editoriale, sottolinea Palmeri, “ho sempre avuto un forte spirito imprenditoriale. Nel mio caso, entrare in una startup aveva più senso. E così ora ho deciso di fare la mia startup”.

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Tara Palmeri, autrice della newsletter The Red Letter, su Substack.

Senza mezzi termini

Palmeri è passata da diverse testate, molto diverse fra loro per tono e linea editoriale.

Da un primo sage a Voice of America nel 2008, passando per Cnn, Washington Examiner, New York Post, Politico – sia a Washington sia a Bruxelles -, Cnbc e Abc.

Ora, dice, “sono la somma di tutti questi luoghi e di quello che ho imparato”.

Con la differenza che, per la prima volta, può decidere lei cosa raccontare e come farlo.

In un momento di forte polarizzazione, derivata da fratture politiche profonde che si sono acuite con l’avvento e il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, molti giornali ed emittenti si sono trovati a scegliere da che parte stare.

Il movimento Make America Great Again può contare su una rete di news influencer e podcast conservatori – in primo luogo Joe Rogan, Tucker Carlson e Alex Jones -, mentre i nuovi media progressisti anti-Trump come come MeidasTouch o The Contrarian di Jennifer Rubin stanno crescendo “imitando il tono della destra. E sta funzionando”.

Palmeri vuole stare in mezzo, senza dover rispondere all’una o all’altra parte.

Nei suoi video, si presenta spesso con quello che ha fatto diventare il suo motto personale – lo stesso che usava già nella sua bio su Puck: “Sono considerata una delle giornaliste politiche più temute e senza paura, perché non sto da nessuna delle due parti”.

Una frase che riassume bene la formula distintiva dell’ex reporter di Politico: giornalismo di qualità con un pizzico di provocazione. Una combinazione affinata durante i suoi cinque anni al New York Post.

Nella sua newsletter su Substack, The Red Letter, e sul suo canale YouTube, Palmeri parla senza filtri, a volte usando un linguaggio colorito, specie quando riporta le parole delle sue fonti.

“Il giornalismo sensazionalistico può essere di qualità”, evidenzia. “Nella storia americana, alcuni dei migliori reporter facevano parte dei Muckrakers“, i giornalisti di inizio Novecento che usavano uno stile diretto e d’effetto per scoperchiare i grandi scandali dell’epoca.

Grazie al romanzo The Jungle di Upton Sinclair, il grande pubblico statunitense ha scoperto le condizioni disumane nei macelli industriali del Paese.

Figure come Ida Tarbell, Lincoln Steffens e David Graham Phillips hanno contribuito a fondare il giornalismo investigativo moderno, denunciando i cosiddetti Robben Baron – i grandi nomi dell’industria del momento che sfruttavano il proprio potere e la mancanza di regolamentazione per consolidare il proprio potere a scapito della concorrenza.

“Nellie Bly, una delle personalità più famose, si è finta pazza per farsi internare in un istituto psichiatrico e raccontare come venivano trattate le persone. E lo ha fatto utilizzando uno stile sensazionalistico”, ricorda Palmeri.

“Il nostro premio più prezioso, il Pulitzer, è stato creato da Joseph Pulitzer, che faceva yellow journalism. Quindi chi siamo noi per dire che un giornalismo di qualità debba per forza essere noioso? Se un albero cade nella foreste e nessuno lo sente, a chi importa?”

Live with Steve Schmidt on media independence & why I’m watching the FAA story by Tara Palmeri

A recording from Tara Palmeri and Steve Schmidt’s live video

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Si alzi il sipario

Nel 2021, mentre lavorava per Politico, Palmeri ha sperimentato in prima persona le conseguenze di fare giornalismo senza remore almeno in due occasioni – una volta dall’interno, un’altra dall’esterno.

Come ha raccontato al New York Times e in un video su YouTube, la redazione l’avrebbe “ostracizzata” per un articolo su un incidente che coinvolgeva un’arma di proprietà di Hunter Biden, figlio dell’ex presidente Joe.

Nello stesso periodo, l’ex vicepresidente della Casa Bianca TJ Ducklo l’ha minacciata di “distruggerla” dopo che Palmeri aveva pubblicato sulla newsletter Playbook di Politico alcuni dettagli sulla relazione di Ducklo con la giornalista di Axios Alexi McCammond.

“La cultura aziendale era cambiata e ho capito che non era più il posto giusto per me. Non era più quella redazione combattiva in cui avevo lavorato quando ero a Politico Europe a Bruxelles”, dice. “Era diventata più burocratica e politicizzata”.

Oggi il problema persiste, ma dall’altra parte.

A differenza delle resistenze riscontrate durante il suo primo mandato, oggi molti si stanno arrendendo a Trump.

Le big tech hanno chiuso i programmi di fact-checking e smantellato i dipartimenti dedicati alle politiche di diversità, equità e inclusione.

In più, diverse grandi testate stanno ricalibrando la loro linea editoriale per adattarsi alla Casa Bianca ed evitare di andare allo scontro aperto con il governo.

“Si respira una certa esitazione nel mettere in discussione Trump. Nessuna sembra volerlo toccare in questo momento, dopo la grande vittoria e il successo nel voto popolare. Ma le cose potrebbero cambiare”.

La settimana scorsa, Palmeri ha ottenuto il documento con cui si dispone l’interruzione dei finanziamenti federali a Radio Free Europe/Radio Liberty.

La. comunicazione è firmata da Kari Lake, di recente nominata consigliere speciale della US Agency for Global Media, l’ente federale che controlla anche Voice of America.

Tre giorni dopo, Radio Free Europe/Radio Liberty ha fatto causa alla Casa Bianca, citando in giudizio sia Lake sia l’amministratore delegato ad interim della Usagm, Victor Morales – la cui nomina non è stata confermata dal Senato, come previsto da regolamento.

Presentare al pubblico l’intero processo che porta alla pubblicazione di una notizia – dalla raccolta delle informazioni, come in questo caso, alle analisi conclusive – è lo strumento principale di Palmeri.

“Voglio alzare il sipario e mostrare le varie fasi della filiera dell’informazione, far vedere alle persone come si costruisce un contenuto giornalistico”, spiega.

“Guardando il mio primo pezzo su Elon Musk, in cui raccontavo il rapporto teso con il suo staff, si capisce cosa intendo. Ti dico chi ho chiamato, chi ha detto cosa e su quali basi si fonda il mio lavoro”.

Lo scopo è costruire “una comunità fondata sulla fiducia”, composta da lettori e spettatori “che credono in me e in quello che faccio. Così, se qualcuno avesse dei dubbi su quello che propongo, posso portarlo con me passo dopo passo nella costruzione del prodotto”.

Democratizzare, sempre

Puntando su YouTube, Palmeri ora gioca su un campo del tutto diverso rispetto alle redazioni in cui ha lavorato in passato.

Sulla piattaforma video di Google, chiunque può dichiarare di fare giornalismo.

Grazie alla spinta dei nuovi media, si è aperta “un’ulteriore fase di democratizzazione dell’informazione, dove le regole del gioco sono ancora più paritarie”, aggiunge la giornalista.

“Ho visto ottime inchieste su YouTube realizzate da persone che non sono giornalisti in senso tradizionale. Magari non conoscono le regole del mestiere come le conosco io” e questo può sollevare problemi di trasparenza, soprattutto sul lato economico.

“C’è un’enorme quantità di denaro che finisce a questi ‘investigatori’, a questi influencer. E parte di quei fondi arriva dai Political Action Committee“, sottolinea Palmeri.

“È preoccupante, perché quel tipo di contenuto tende spesso a pendere da una parte o dall’altra dello spettro ideologico. E molti scelgono su cosa indagare in base alle richieste dei loro finanziatori”.

Oltre a YouTube – che sceglie in maniera autonoma le inserzioni – è probabile che Palmeri aggiungerà un paywall su The Red Letter, nonostante stia comunque esplorando anche l’opzione delle pubblicità.

“Gli annunci possono essere un’alternativa per evitare il paywall. Ma deve essere l’inserzionista giusto. Bisogna fare attenzione alle aziende con cui si associa il proprio nome”, dice.

Comunque, anche nel caso di un abbonamento a pagamento, solo una parte dei contenuti di The Red Letter sarà premium.

“Il mio ex datore di lavoro utilizza un paywall che oscura il testo dal secondo paragrafo in poi, ma non è quello che voglio fare io. Deciderò quando utilizzarlo e quando non è il caso. Alcune notizie sono di interesse pubblico e vanno semplicemente raccontate”.

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Journalist writing on European politics, tech, and music. Bylines in StartupItalia, La Stampa, and La Repubblica. From Bologna to Milan, now drumming and writing in London.

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