Il Washington Post perde (di nuovo) migliaia di abbonati dopo l’ultima scelta di Bezos

Di il 04 Marzo, 2025
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In 75mila hanno abbandonato dopo la decisione di cambiare la linea editoriale della sezione Opinioni. Altri 300mila se n'erano andati a seguito del mancato endorsement a Harris

La nuova versione del Washington Post di Jeff Bezos, qualunque essa sia, per ora non funziona. Lo scorso 26 febbraio, il fondatore di Amazon ha scritto che la sezione Opinioni del quotidiano d’ora in poi si schiererà in difesa delle “libertà personali” e del “libero mercato”, mentre “le opinioni contrarie a questi due pilastri saranno lasciate ad altri”. Per tutta risposta, oltre 75mila abbonati all’edizione digitale giornale hanno cancellato l’iscrizione.

È trascorsa meno di una settimana dall’annuncio di Bezos.

Potrebbe dunque essere l’inizio di un esodo più vasto, che fa seguito a un periodo complicato per la redazione del Washington Post.

La testata, oltre agli abbonati, ha perso diversi giornalisti di spicco a seguito delle ingerenze della proprietà sulla linea editoriale.

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La sede del Washington Post. Foto: FMT.

Addio, di nuovo

A fine ottobre, il proprietario, in accordo con l’amministratore delegato William Lewis – ex Ad di Dow Jones -, aveva vietato la pubblicazione del tradizionale endorsement a uno dei candidati presidenziali, nel caso specifico la vicepresidente democratica Kamala Harris.

In poche settimane, in più di 300mila avevano eliminato il proprio abbonamento – il 12% del totale.

Bezos aveva difeso la sua scelta affermando che l’endorsement a Harris avrebbe rafforzato l’idea di parzialità della testata, mentre il suo scopo era ampliare il pubblico del quotidiano.

Nei giorni successivi al secondo insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca il Washington Post aveva recuperato circa il 20% degli abbonati che si erano disiscritti a causa del mancato supporto a Harris e aveva messo in campo una strategia per attrarre nuovi lettori e compensare le perdite, proponendo prezzi scontati.

Eppure, secondo Npr e alcune fonti interne alla redazione, il quotidiano registrerebbe al momento un saldo negativo di circa 200mila abbonati rispetto allo scorso ottobre.

Quello che i vertici del quotidiano hanno sottovalutato, ha scritto l’editorialista del Guardian Margaret Sullivan – che al Washington Post ha lavorato per sei anni -, è che i lettori del quotidiano sono già un pubblico di vedute differenti a livello ideologico.

Elettori democratici e conservatori leggono lo giornale per diversi motivi, scrive Sullivan, ma conoscono la sua storia, forgiata sull’indipendenza dalla politica, e la rispettano.

L’ingerenza di Bezos, dunque, potrebbe rappresentare, anche per gli abbonati di orientamento conservatore, un tradimento dei valori del Washington Post.

Di destra, non di Trump

La situazione, comunque, potrebbe essere più sfaccettata del previsto.

Un editoriale firmato dalla redazione del Foglio fa leva sul contenuto dei commenti pubblicati sulla sezione Opinioni del Washington Post dopo l’annuncio di Bezos – e le conseguenti dimissioni del caporedattore David Shipley, responsabile proprio delle Opinioni – per sottolineare che il quotidiano non si è allineato all’ideologia Make America Great Again dei fan di Trump.

Non ci sono articoli a favore dell’amministrazione. Anzi, quasi ogni editoriale critica l’inadeguatezza delle nomine di Trump e le sue azioni politiche – ad esempio, in ambito migratorio e in politica estera, come nell’incontro alla Casa Bianca con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

Piuttosto, sostiene il Foglio, c’è la possibilità che, seguendo i due nuovi pilastri dettati da Bezos, il Washington Post possa diventare un’importante voce anti-trumpiana che sostiene “i valori una volta rappresentati dal Partito Repubblicano”.

Anche perché, come sostiene l’opinionista del quotidiano statunitense Dana Milbank, la più grande minaccia alle libertà personali e al libero mercato è proprio Trump.

Se così fosse, quella di Bezos potrebbe comunque essere vista sul piano politico come parte della sua più ampia operazione di facciata per riallacciare il rapporto, in passato molto teso, con Trump – che lo aveva attaccato più volte durante il suo primo mandato, proprio per le critiche del Washington Post nei confronti del suo operato.

Altre mosse hanno composto questa strategia: la donazione di un milione di dollari alla cerimonia di inaugurazione del presidente, la decisione di Amazon di tornare a investire in pubblicità su X di Elon Musk e la recente scelta, sempre del Washington Post, di non pubblicare un’inserzione critica nei confronti dello stesso Musk.

Si vedrà se questo nuovo approccio darà i suoi frutti nel lungo periodo.

Quello che è certo è che, al momento, anche il braccio destro di Trump sembra aver apprezzato la scelta di Bezos sulle opinioni del suo giornale. “Bravo”, gli ha scritto Musk su X.

Forse, alla fine, l’operazione di facciata fa contente entrambe le parti: la Casa Bianca, che vuole ostentare un favore trasversale oltre ogni ragionevole realtà e chi, grazie a questo presunto appoggio, sa di poter influenzare il presidente.

Tutti felici, eccetto quei giornalisti del Washington Post che, contrari ai dettami del proprietario, non potranno più esprimere le loro idee sugli ormai famosi “due pilastri” di Bezos.

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Journalist writing on European politics, tech, and music. Bylines in StartupItalia, La Stampa, and La Repubblica. From Bologna to Milan, now drumming and writing in London.

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