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Il Washington Post continua a muoversi sulla direzione imposta dal suo proprietario, il fondatore di Amazon Jeff Bezos. La linea è chiara: il quotidiano deve avere una posizione più neutra rispetto al passato, pur mantenendo la sua credibilità e il suo blasone.
La dimostrazione più recente è la decisione di non pubblicare un’inserzione critica nei confronti di Elon Musk sulla versione cartacea del giornale. Più nello specifico, si trattava di un wrap ad, ossia una pubblicità che avvolge il giornale e, dunque, estremamente visibile per i lettori.
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La sede del Washington Post. Foto: Flickr.
Uno sì, due no
La Cnn scrive che l’organizzazione no-profit Common Cause e l’ente Southern Poverty Law Center Action Fund, attivo nella tutela dei diritti civili, avevano comprato per 115mila dollari lo spazio per pubblicare due inserzioni: il wrap ad e un annuncio interno.
La prima è stata scartata.
La pubblicità che non è stata accettata dal quotidiano chiede al presidente degli Stati Uniti Donald Trump di rimuovere Elon Musk dalla guida del Dipartimento per l’efficienza governativa, il Doge.
Mostra una foto dell’imprenditore che sovrasta la Casa Bianca e presenta la scritta: “Chi sta governando questo Paese: Donald Trump o Elon Musk?”
A suscitare scalpore è stata soprattutto la modalità con la quale il Washington Post ha comunicato che non avrebbe più pubblicato l’annuncio il 17 febbraio, la data prevista secondo gli accordi con le due organizzazioni.
Common Cause sostiene infatti che la testata non ha spiegato il perché della decisione, ma ha soltanto comunicato che il giornale non poteva più inserire la pubblicità.
“Quando abbiamo fatto delle domande, ci hanno risposto che non potevano darci spiegazioni, ma che non volevano perdere l’intero compenso e quindi erano disposti a pubblicare l’annuncio interno”.
Per tutta risposta, Common Cause ha ritirato anche la seconda inserzione.
. @wapo didn’t want you to see our ad… we wonder why?? 🤔👀
We refuse to be silenced by @JeffBezos, @ElonMusk, and any other billionaire who only cares about their bottom dollar.
Will you join us by sharing the ad? 👇 pic.twitter.com/DKSbJ6E0Ai
— Common Cause (@CommonCause) February 18, 2025
Il nuovo Washington Post
“Ci chiediamo se il Washington Post, un pilastro del giornalismo investigativo durante Watergate, sia riluttante a sfidare chi ha il potere”, ha detto Virginia Kase Solomón, amministratrice delegata di Common Cause.
“Sotto la proprietà di Jeff Bezos, le preoccupazioni sull’influenza delle multinazionali sulla stampa sono aumentate e questa decisione alimenta seri dubbi sull’indipendenza del quotidiano”, ha sottolineato Solomón, che ha poi aggiunto un’amara postilla sul futuro del giornalismo.
Se anche un nome così importante come il Washington Post cede alle pressioni, “che speranza c’è per i piccoli giornali locali?”
In un quadro incerto, quello che appare certo è il cambiamento della testata di cui Bezos è proprietario e che sta influenzando in maniera pesante.
Lo scorso ottobre, il fondatore di Amazon ha vietato alla redazione di pubblicare il tradizionale endorsement a uno dei due candidati presidenziali, nel caso specifico l’ex vicepresidente democratica Kamala Harris – in modo simile a quanto ordinato dal proprietario del Los Angeles Times.
Da lì in poi è iniziato il percorso di riavvicinamento di Bezos a Trump, dopo un rapporto burrascoso dato anche dal fatto che il Washington Post – che Bezos ha comprato nel 2013 – in passato è stato molto duro con l’attuale presidente.
“Se posso aiutare Trump a ridurre la burocrazia lo farò, perché in questo Paese abbiamo davvero troppa regolamentazione”, aveva detto l’imprenditore a dicembre.
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Foto: FMT.
L’esodo
L’ingerenza dell’editore e dell’amministratore delegato della testata, Will Lewis – scelto da Bezos – ha provocato la reazione dei giornalisti.
Nel 2024, diversi nomi di spicco della redazione se ne sono andati.
La nota firma nell’ambito della tecnologia Taylor Lorenz, l’esperto di politica estera Shane Harris e il cronista giudiziario Devlin Barrett sono alcuni esempi.
Ashley Parker e Michael Scherer, che per anni hanno seguito la politica statunitense al Washington Post, sono passati a The Atlantic.
Il corrispondente dalla Casa Bianca Tyler Pager è ora al New York Times e il giornalista investigativo Josh Dawsey è stato assunto dal Wall Street Journal.
Hanno lasciato anche l’editorialista politica Leigh Ann Caldwell e la vignettista vincitrice del premio Pulitzer, Ann Telnaes.
Infine, a dicembre, la caporedattrice Matea Gold, inizialmente candidata interna al ruolo di direttrice, è passata al New York Times.
Eppure, neanche l’addio di alcuni delle firme più importanti della testata sembra aver convinto i vertici a rivedere le loro posizioni.