Il 2015 è stato un anno cruciale per i social media, il mondo dell’informazione stava attraversando un punto di svolta e in pochi sono riusciti a capirlo. Se da una parte esistevano realtà come BuzzFeed e Gawker che inseguivano la viralità delle news a tutti i costi dall’altro lato c’erano i giornali mainstream che cercavano di tenere faticosamente il passo.
In quel preciso momento Twitter era il social per eccellenza di intellettuali e opinionisti, chiunque volesse intervenire nel dibattito pubblico lo faceva in 120 caratteri. Abbiamo visto in quegli anni movimenti politici e di lotta di classe nascere e svilupparsi lì dove c’era un pubblico da informare, ossia sui social media. Gli esempi sono molteplici vedi la Primavera araba, dove le insurrezioni sono state favorite dalla possibilità per le persone di organizzarsi rapidamente, spesso attraverso gli smartphone e applicazioni web di facile accesso, che hanno sconfitto senza troppi problemi gli apparati di sicurezza dello Stato. Stessa cosa per il Black Lives Matter, simbolo della lotta contro i soprusi della polizia verso le persone di colore.
I social media stavano inaugurando una nuova era del giornalismo e numerose personalità si costruirono un seguito in ambienti come Twitter. Sono passati dieci anni e molto è cambiato, Twitter non esiste più e il rebranding di Elon Musk con X ha innescato il progressivo (ma non definitivo) abbandono della piattaforma da parte di chi vedeva in questo luogo una fonte di informazione. Twitter era il giornale di Internet: chi avrebbe riempito quel vuoto se fosse improvvisamente scomparso?
Ecco quindi che le fonti di informazione si sono perse, sparpagliate nel grande mare di Internet: Facebook, Instagram, i podcast, TikTok sono luoghi che prediligono il virale al reale. Riuscire a portare in questi luoghi l’informazione autentica richiede la massima attenzione.
Quello che viviamo oggi è il bisogno di verità, soprattutto nel campo dell’informazione. Si assiste ad un allontanamento dai media tradizionali non perché il giornalismo sta morendo ma perché si è allontanato dal proprio scopo, dare informazioni attendibili e non approssimative.
In realtà il giornalismo è tutt’altro che morto, ha solo cambiato la sede della propria diffusione, con i social media raggiungono persone che i media tradizionali non attirerebbero mai. Come ha dichiarato Phil Lewis, vice direttore dell’HuffPost, in un’intervista a Wired: “La cosa importante è cercare di incontrare le persone dove si trovano. È quello che cerco di fare. La Gen Z e i millennial più giovani sono online e su TikTok, sono su Instagram, sono proprio dove ci sono queste piattaforme di social media, non essere lì con la propria narrazione è uno spreco di opportunità”.
Ciò ovviamente nasconde delle insidie considerevoli, essere presenti con la propria voce ed avere seguito per i media rappresenta una responsabilità. Ciò a cui stiamo assistendo però è uno svilimento delle notizie ed una crisi profonda di attenzione, troppi luoghi in cui informarsi e male, ma ciò che più spaventa è il dilagare della disinformazione e della cattiva informazione.
La velocità con cui si diffondo le notizie è così elevata che il livello di attenzione degli attori che intervengono dovrebbe essere massimo, molto spesso invece incappiamo nella superficialità e nella poca trasparenza.
Esisteranno sempre persone che vogliono informarsi, quindi ben vengano i giornalisti influencer, purché questi si integrino e non sostituiscano l’ecosistema mediatico tradizionale e purché rispettino le regole del giornalismo e non quelle della viralità. Il giornalismo non è in declino, sono forse i giornalisti ad aver perso la bussola?
Leggi anche: La rivincita dei media tradizionali parte dall’intelligenza artificiale