Il cofondatore di Netflix investe nella ricerca sull’IA ma dice di fare attenzione

Di il 28 Marzo, 2025
Reed Hastings cofounder Netflix free Wikimedia Commons
Reed Hastings ha donato 50 milioni di dollari alla sua alma mater per studi in “AI and humanity”. Secondo lui, è il momento di considerare le implicazioni etiche e sociali di questa tecnologia

Reed Hastings, prima di diventare il co-fondatore di Netflix, è stato membro del consiglio di amministrazione di Facebook.

Autore di “L’unica regola è che non ci sono regole”, il suo mantra è “reinventare”, una specie di aggiornamento della distruzione creativa dell’economista austriaco Joseph Schumpeter, ma per le piattaforme.

È un imprenditore ma anche un filantropo e ha appena donato 50 milioni di dollari al Bowdoin College, in cui ha studiato, per borse di studio a sostegno di ricerche sull’intelligenza artificiale.

Con la scienziata e psicologa cognitiva Safa Zaki, che dirige il Bowdoin, condivide alcune preoccupazioni sulle traiettorie di sviluppo dell’IA, una rivoluzione che considera ben più travolgente di quella dei social media.

Per questo, il progetto finanziato con i fondi di Hastings verterà su “AI and humanity”.

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Il campus del Bowdoin College a Brunswick, nel Maine. Foto: Wikimedia Commons.

Troppi conflitti di interesse sull’AI

L’iniziativa di Hastings non avviene nel deserto.

Già due anni fa, ricercatori e imprenditori tech firmavano una lettera aperta per mettere in guardia dai rischi dell’IA per la società e l’umanità.

Tra questi c’era anche Elon Musk, che qualche mese dopo avrebbe lanciato xAI, la propria startup di ricerca sull’IA, e che solo il mese scorso ha fatto un’offerta per OpenAI.

La verità è che l’IA non avrà per tutti lo stesso impatto.

Molto dipenderà dal tipo di lavoro che si svolge, dalle competenze critiche a disposizione, dalla cultura di chi usa i chatbot.

Si presenta come uno strumento accessibile e in grado di potenziare le capacità di chi ne fa uso, ma in realtà la sua applicazione è diversa e unica di caso in caso.

Già adesso, cambia radicalmente alcune vite: mentre crea migliaia di posti di lavoro, si appresta a distruggerne altri.

Sull’IA gli interessi in gioco sono tanti, troppi per essere bilanciati.

Per la scienza o l’informatica il suo sviluppo avrà certe conseguenze. Per i lavoratori creativi, magari altre. Per le libere elezioni e le democrazie, altri ancora.

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Nel 1997, Reed Hastings ha fondato Netflix insieme a Marc Randolph. Foto: Flickr.

Tecno-ottimisti vs umano-pessimisti

Per l’energia nucleare, i potenziali impatti distruttivi quando usata per scopi militari furono quasi immediatamente chiari.

Nello scarto tra quella consapevolezza e i suoi reali utilizzi si è giocato un momento cruciale nella coscienza umana dello scorso secolo.

Per l’IA la questione è molto più complessa e sottile.

È già in uso e il suo potenziale cresce con il suo utilizzo, mentre si riesce a misurarne l’impatto solo mentre accade.

A meno che non si giochi di immaginazione, come avevano fatto artisti e scrittori pronosticando la guerra a inizio Novecento e come già sta facendo l’industria creativa.

Un esempio è il film Her, disponibile proprio su Netflix.

Mentre in Italia si sta ancora lottando per la parità di genere nelle materie Stem, all’estero si continua a investire nella ricerca scientifica ma cominciando a inserire dei caveat.

Gli investimenti di Hastings in “AI and humanity” potrebbero far pensare che sia il momento di riconsiderare, aggiornandola, l’idea olivettiana dei team multidisciplinari e compositi, in cui al fianco di programmatori ci sono antropologi, filosofi, sociologi, umanisti.

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Ludovica Taurisano è dottoranda di ricerca in Global History and Governance per la Scuola Superiore Meridionale di Napoli, con un progetto di ricerca sull’editoria popolare e l’informazione politica negli anni Sessanta e Settanta. Con una formazione in teoria e comunicazione politica, si è occupata di processi di costruzione dell’opinione pubblica; ha collaborato con l’Osservatorio sulla Democrazia e l’Osservatorio sul Futuro dell’Editoria di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Oggi è Program Manager per The European House – Ambrosetti. Scrive di politica e arti performative per Birdmen Magazine, Maremosso, Triennale Milano, il Foglio, Altre Velocità e chiunque glielo chieda. Ogni tanto fa anche cose sul palco.