L’intelligenza artificiale in redazione. (Non) cambierà tutto

Di il 10 Febbraio, 2025
Charlie Beckett JournalismAi 20.09.23-00065-min
"Il consumo di notizie è emotivo e l'IA non ha emozioni", dice Charlie Beckett, professore della Lse di Londra. "Nel giornalismo, il fattore umano resta essenziale per capire cosa conta davvero e come raccontarlo"
La versione originale di questo articolo è stata pubblicata in lingua inglese dallo stesso autore l’8 febbraio 2025.

Il primo marzo 2013, Charlie Beckett è salito sul palco dell’Associazione della stampa di Madrid per raccontare la sua idea su come salvare il giornalismo.

“Il compito non è salvare l’attuale industria giornalistica, ma salvare il giornalismo, qualunque sia la sua forma”, aveva scritto nei suoi appunti per il discorso.

Beckett, professore della London School of Economics, dove ha fondato e dirige il centro di ricerca per il giornalismo Polis, è un ex giornalista della Bbc e di Channel 4. A Madrid aveva riassunto la sua visione, riprendendo alcuni concetti chiave di un suo libro, SuperMedia, pubblicato nel 2008.

Combinando le nuove tecnologia ai valori tradizionali del giornalismo, “potremmo creare un prodotto migliore”, aveva scritto. Se il pubblico apprezza, allora “troveremmo un modo per guadagnarci”.

A differenza dell’era della carta stampata, quando le testate prosperavano grazie ai ricavi dalla pubblicità, l’informazione dopo l’avvento del digitale ha richiesto strategie più flessibili e in grado di adattarsi alle singole situazioni.

Dodici anni dopo il suo discorso, i principi di Beckett restano attuali e la tecnologia continua a trasformare il settore.

L’ultima svolta deriva dall’intelligenza artificiale. La sua integrazione nelle redazioni, però, assomiglia più a una tradizione graduale – ma complessa – che a una rivoluzione distruttiva.

Nel complesso, il giornalismo di oggi offre nuove sfaccettature ed è più coinvolgente rispetto alla sua controparte analogica, che spesso si limitava al “copia e incolla dei comunicati stampa”, con contenuti più vicini alla comunicazione che ad articoli originali.

Proprio le “notizie di routine” – riprese da note stampa e senza troppa rielaborazione – “saranno scritte dall’IA”, racconta Beckett. “Questo farà guadagnare tempo agli altri giornalisti”.

Dal punto di vista economico, Beckett – a capo di JournalismAI, un progetto della Lse che analizza l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel settore dell’informazione – è scettico sull’idea di trovare un’unica soluzione per tutti.

Perseguire “una sola strategia è semplicistico. La maggior parte delle testate sta cercando di diversificare le fonti di guadagno”.

In questo contesto, l’IA è ormai parte dell’equazione. Sempre più gruppi editoriali stanno chiudendo accordi con società di intelligenza artificiale per sostenere i costi delle redazioni.

Charlie Beckett stage

Foto: Charlie Beckett.

Qui sto, qui resto

Oltre agli aspetti economici, l’IA sta anche ridefinendo il processo produttivo e decisionale all’interno delle redazioni, ma non è ancora il tempo in cui le macchine prendono il sopravvento.

“Due delle affermazioni più fuorvianti fatte dai giornalisti sull’intelligenza artificiale sono l’idea del reporter robot e la convinzione che l’IA è in grado di scrivere pezzi complicati”, sostiene Beckett.

Per il momento, insomma, i chatbot non sostituiranno i giornalisti.

I dati sembrano confermarlo. Secondo un’analisi di Press Gazette, nel 2024 i licenziamenti nel settore dell’informazione nel Regno Unito e negli Stati Uniti si sono dimezzati rispetto all’anno precedente, passando da 8000 a circa 4000. I tagli, inoltre, non sono direttamente riconducibili all’IA.

Secondo uno studio dell’Ocse pubblicato lo scorso ottobre, le professioni legate ai media non sono tra le cinque occupazioni più esposte all’impatto dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro.

E anche nei settori più a rischio, fra cui i ruoli dirigenziali e gli ambiti ingegneristico, dell’information technology e della ricerca scientifica, non si riscontrano prove concrete di perdite di lavoro causate dall’IA. Al contrario, alcuni studi parlano di effetti positivi in questo senso.

“L’IA può sistemare le cose. Possiamo usare questi strumenti per supporto” nel processo di produzione delle notizie, spiega Beckett.

L’impatto dell’automazione sulle redazioni varia a seconda del livello di interazione fra giornalisti e macchine.

Ci sono alcuni compiti semplici, come addestrare l’IA con istruzioni precise per farle scrivere notizie di routine in modo sempre più preciso e far risparmiare tempo e risorse alle redazioni. Heliograph, il sistema sviluppato dal Washington Post, ne è un esempio.

Queste soluzioni sono particolarmente utili per le testate piccole e locali, dove l’efficienza può fare la differenza, dati i costi e il numero limitato di redattori.

Le sfide più impegnative, però, sono altre.

Katharina Schell, vicedirettrice dell’agenzia di stampa austriaca APA, definisce l’impatto dell’IA nelle redazioni attraverso due concetti chiave: agency e authorship, l’autonomia decisionale e la firma.

“Con l’IA, stiamo invitando un nuovo partecipante in redazione”, scrive Schell.

Quanto questo nuovo collega inciderà sulla gerarchia decisionale è ancora da scoprire.

Nell’epoca dei media digitali, la tecnologia può “cambiare” le decisioni editoriali, ma l’IA queste decisioni “può anche prenderle”, secondo la giornalista.

In futuro, aggiunge Schell, è possibile che si debba accettare che l’autonomia decisionale sia condivisa con colleghi non umani.

CNN_Center_newsroom_wikimedia_commons_2008 free

La redazione della Cnn nel 2008. Foto: Wikimedia Commons.

Tuttavia, questo non significa che la presenza umana stia svanendo in quella che Schell descrive come la nuova “fase ibrida” del giornalismo.

“L’IA funziona meglio quando le si chiede di fare cose specifiche”, dice Beckett. Creare “articoli complessi” richiede molto più della sola scrittura. C’è la creatività del giornalista, la sua competenza, la selezione gerarchica delle informazione, la capacità di analisi e interpretazione e l’ingegno necessario per dare al contenuto un taglio editoriale preciso.

Nella sua ricerca, Schell prevede un ruolo centrale per i chatbot nella raccolta delle informazioni – essendo in grado di gestire l’analisi e l’aggregazione dei dati -, che saranno poi condivise con i giornalisti.

L’IA può dare una grossa mano – lo sta già facendo – anche nel fact-checking. È la prova che smentisce una percezione diffusa secondo cui i contenuti generati dall’intelligenza artificiale sarebbero inaffidabili a priori.

Non a caso, le organizzazioni indipendenti per il controllo della disinformazione stanno già addestrando gli strumenti di intelligenza artificiale per accelerare e affinare i processi di verifica.

Un cambiamento significativo riguarderà anche la produzione di contenuti. La fase di scrittura sarà sempre più affidata all’intelligenza artificiale generativa. Prima, i giornalisti continueranno a confrontarsi per valutare e decidere sul da farsi, concepire idee e gestire gli stessi chatbot. Dopo, interverranno per modificare e rifinire le bozze e renderle articoli pronti per la pubblicazione.

Nonostante questo, l’inventiva resta una prerogativa del giornalista.

“Oltre alle notizie di routine, il giudizio umano è essenziale per capire cosa conti davvero, come raccontarlo e perché dovrebbe interessare al pubblico”, afferma Beckett.

Il consumo di notizie, spiega, “è fondamentalmente emotivo”. L’IA non è in grado di replicare questa emotività.

“L’IA non prova emozioni, non ha un giudizio proprio, non ha curiosità. Non ha senso dell’umorismo”.

Per di più, gli articoli di approfondimento generati dall’intelligenza artificiale hanno anche dei limiti stilistici. “Posso chiedere a ChatGpt di scrivere qualcosa nello stile di una firma specifica, ma non capirebbe davvero cosa significa essere, ad esempio, di destra o di sinistra”, sottolinea il docente.

Foto FMT free Trump supporters MAGA

I supporter del movimento Make America Great Again – Maga – a un comizio di Donald Trump. Foto: FMT.

A immagine e somiglianza

L’assenza di personalità umana nell’intelligenza artificiale rappresenta un limite significativo per le testate che si fondano su una forte identità editoriale, in grado di coinvolgere una base di lettori vicini a livello ideologico.

Eppure, l’IA può aiutare a intercettare tante – forse troppe – nuove nicchie di pubblico.

In anni di forte polarizzazione politica e sociale, un “ecosistema dell’informazione mediato dall’IA” potrebbe esacerbare la frammentazione del pubblico, alimentata “dall’iper-personalizzazione dei contenuti”, si legge in uno studio pubblicato da Open Society.

Questa evoluzione, avverte lo studio, rischia di “marginalizzare alcune comunità e aumentare la polarizzazione sociale e politica”.

Ma Beckett è scettico. “Penso ci sia un malinteso”, dice. “Viviamo già dentro delle filter bubble – le bolle di filtraggio, ndr. È nella nostra natura. Non ci si può aspettare che io cambi totalmente idea soltanto perché leggo dei giornali”.

La polarizzazione, secondo il professore, è un fenomeno politico di lunga data, specialmente negli Stati Uniti, e non è stata causata dai mezzi di informazione.

Piuttosto, i giornali ne stanno pagando il prezzo. E il conto è salato.

L’ultima edizione dell’Edelman Trust Barometer ha rilevato che in 14 dei 28 Paesi presi in considerazione – tra cui diversi Stati europei, gli Stati Uniti e il Regno Unito – più della metà della popolazione non si fida dei media tradizionali.

Beckett ritiene che l’IA possa aiutare le testate a capire meglio quello che il pubblico vuole leggere, ascoltare e guardare e tranquillizza sui possibili effetti negativi di questa influenza. “Non ci sarà la tirannia della maggioranza. Semmai, ci sarà la tirannia della minoranza”.

Oggi, i media cosiddetti mainstream “non sono più la fonte principale di informazione. Non sono così importanti”. Per questo, “devono accettare che la gente legga le notizie sulla propria squadra del cuore direttamente dal sito del club o da una pagina di tifisi”. Le grandi testate, sottolinea, “possono lasciare ad altri” nicchie come questa.

E per chi, nel settore dell’informazione, teme che, a causa dell’IA, i giornali possano perdere la funzione di agenda-setting – cioè, decidere la priorità delle notizie da dare – Beckett ricorda che “è sempre stato così. Nessuno scriverebbe articoli che i lettori non vogliono leggere. Sarebbe un suicidio”.

Definire l’agenda, prosegue, “è sempre stato un processo molto più sottile. Spesso, riguarda più quello di cui si sceglie di non parlare”. È una relazione di continuo scambio con il pubblico.

Charlie Beckett 2

Foto: Charlie Beckett.

Cosa sarà

Sono proprio le linee editoriali ad aver impedito alle testate di assumere posizioni che potessero allontanare il loro pubblico di riferimento. Eppure, “fino a poco tempo fa, molte testate pubblicavano diversi contenuti che non interessavano ai lettori, ignorando invece quello che davvero catturava la loro attenzione”, dice Beckett.

La crescente presenza dell’IA potrebbe rendere più efficiente la selezione delle notizie.

I media più autorevoli potrebbero espandere la loco copertura ad altri temi, rivedendo le loro priorità, che finora erano paragonabili a una “piramide in cui la politica è in cima. Ma se parli con la gente”, osserva il docente, “non è così”.

Un altro elemento chiave di questo cambiamento è Google. Con il declino dell’influenza dei social media sul traffico ai siti di informazione, il motore di ricerca ha colmato il vuoto.

Lo scorso anno, Google Discover ha infatti rappresentato un quarto del traffico esterno totale verso i siti di informazione.

Il suo algoritmo privilegia contenuti originali e più leggeri, un fattore che potrebbe spingere le redazioni a dare priorità a temi più leggeri e meno divisivi.

Ma questo non significa che il giornalismo debba rinunciare alla sua funzione di controllo del potere – watchdog. Oltre a ottimizzare la programmazione quotidiana delle notizie e offrire ai lettori contenuti personalizzati, l’intelligenza artificiale rappresenta la più grande opportunità per migliorare la qualità dell’informazione.

“I nuovi strumenti permettono ai redattori di migliorare l’esperienza dell’utente”, evidenzia Beckett. “Non si tratta solo di cosa si fa, ma di come lo si fa”.

person of the year 2024 time trump free to use Fmt

Donald Trump, 45esimo e 47esimo presidente degli Stati Uniti, è stato la Persona dell’anno della rivista Time nel 2016 e nel 2024. Photo: FMT.

Una ricerca del Reuters Institute ha analizzato le priorità del settore per l’anno appena iniziato e ha scoperto che il 56% dei manager intervistati è comunque fiducioso nelle prospettive del settore, nonostante l’instabile quadro politico ed economico.

Per l’87%, l’IA generativa avrà un impatto sulle redazioni, ma c’è indecisione sull’importanza degli effetti.

Quasi tutti gli intervistati (96%) ritengono fondamentale integrare un certo grado di automazione nei processi interni, mentre l’80% vede il potenziale dell’IA nella personalizzazione dei contenuti e delle piattaforme digitali.

Nel corso dell’anno, l’intelligenza artificiale dovrebbe essere impiegata soprattutto per convertire testi in audio e creare riassunti e i cosiddetti bullet point all’inizio dell’articolo, per spiegare al lettore cosa andrà a leggere.

“Aggiungere un riassunto di 30-40 parole all’inizio di un articolo di 700 parole” aiuta il lettore “a capire esattamente di cosa parla il pezzo”, dice Beckett. “Non aumenta il numero di clic, ma impatta positivamente sul coinvolgimento e il tempo di lettura”.

Il cosiddetto engagement, continua il docente, è un dato importante, perché “di solito le persone decidono se continuare o meno la lettura affidandosi soltanto al titolo, senza sapere davvero se l’articolo possa interessare loro”.

Ma quando i lettori hanno a disposizione un riassunto, possono capire meglio il contenuto. Se, a quel punto, decidono comunque di proseguire, allora “sono loro a volerlo leggere, hanno fatto una scelta. Ed è una cosa bellissima, perché nessuno dovrebbe leggere cose che non lo interessano”.

Guardano al pubblico anche gli strumenti di traduzione e i chatbot nei siti delle testate, sui quali oltre la metà dei manager intervistati dal Reuters Institute prevede di investire quest’anno.

Funzioni simili sono state anticipate da alcuni giornali, come il Time, che ha lanciato un chatbot – sviluppato con la società Scale AI – in occasione della pubblicazione dell’editoriale sulla Persona dell’anno, dedicato per la seconda volta a Donald Trump. I lettori della rivista possono chiedergli di riassumere, leggere ad alta voce, tradurre e rispondere a domande specifiche sul contenuto degli articoli.

Le notizie degli influencer

Oltre alle trasformazioni legate all’intelligenza artificiale, un altro passaggio chiave sarà il rafforzamento del legame tra le redazioni e gli influencer dell’informazione, un fenomeno che ha acquisito ancora più rilievo durante le ultime elezioni presidenziali statunitensi.

Un numero crescente di testate sta avviando collaborazioni con quelli che uno studio della Lse ha definito “journo-influencer”.

I media, si legge, possono “aumentare la loro credibilità sfruttando i valori condivisi” con una platea di lettori più giovani, grazie alla comunicazione dei content creator. Alcuni di queste personalità sono in realtà giornalisti di lunga data e hanno costruito parte o tutta la propria visibilità sui social media. Un esempio è il corrispondente estero di Fox News, Trey Yingst.

“Non è affatto una novità”, sostiene Beckett. Personaggi che hanno costruito un brand personale, come Tucker Carlson, “sono sempre esistiti, soprattutto in televisione, ma anche tra gli editorialisti e i corrispondenti di alcuni giornali”.

Tutto può servire

Collaborare con i journo-influencer per raggiungere nuove categorie di pubblico e sfruttare gli strumenti di intelligenza artificiale per rendere la produzione di notizie più sostenibile sono solo due dei tanti approcci adottati dagli editori negli ultimi 15 anni per provare a costruire un modello aziendale redditizio.

Una formula perfetta, però, non esiste. E probabilmente non è mai esistita.

“In passato, gran parte del giornalismo era finanziato in modo puramente casuale. Era la pubblicità”, ricorda Beckett. Senza un piano strutturato, l’unico motivo per inserire annunci su un giornale, “anziché su un autobus o in tv”, era la logica dell'”economia dell’attenzione”.

Non era una vera strategia, ma funzionava.

Durante la conferenza di Madrid, per spiegare come i ricavi online da solo non erano sufficienti a sostenere le redazioni, Beckett ha disegnato tre grafici e li ha proiettati in sala.

Quei disegni erano l’applicazione al mondo reale del “Rusbridger Cross”, un concetto elaborato dall’ex direttore del Guardian Alan Rusbridger.

Il Rusbridger Cross indica il punto in cui l’ammontare dei ricavi digitali – in teoria in crescita – interseca quello delle entrate pubblicitarie della carta stampata, in declino. Quando questo accade, significa che i guadagni derivati dall’attività online hanno sostituito la pubblicità tradizionale.

Ma, come sottolineava lo stesso Rusbridger, “non ci sarebbe stata una transizione lineare dal vecchio mondo al nuovo”.

Quell’ideale incrocio rappresenta, in realtà, un periodo più o meno lungo e pieno di incertezze, in cui gli editori si trovano a fronteggiare un calo delle entrate, nonostante il numero di lettori della versione digitale abbia superato gli acquirenti del giornale di carta.

Nell’ultimo dei tre grafici mostrati durante la conferenza, Beckett ha illustrato questa situazione.

Charlie Beckett LSE Paper

Un grafico, disegnato e utilizzato da Charlie Beckett nella conferenza del 2013 a Madrid, che rappresenta l’adattamento del Rusbridger Cross alla situazione reale di molti editori. Foto: LSE blogs.

“Anche nel momento in cui si raggiunge il Rusbridger Cross, lo si fa a un livello di ricavi e profitti molto più basso rispetto ai tempi d’oro del giornalismo analogico”, aveva scritto Beckett nei suoi appunti per il discorso.

Per compensare l lentezza nella crescita delle entrate ottenute dal digitale, i giornali hanno iniziato a diversificare le fonti di reddito.

Negli anni, gli editori hanno sviluppato servizi specifici a pagamento per aziende e istituzioni, divisioni B2B, corsi di formazione, contenuti sponsorizzati e sezioni dedicate alla parte gaming.

Ora, è il turno degli accordi con le società di IA.

Il 2024 ha segnato il numero più alto di accordi fra aziende nel campo dell’informazione e di intelligenza artificiale. Il Reuters Institute segnala che almeno 26 editori hanno chiuso delle collaborazioni di questo tipo.

A oggi, secondo il Tow Creator della Columbia University, OpenAI ha confermato 36 contratti, seguita da Perplexity, con 21. Perplexity che, a settembre dello scorso anno, ha nominato Jessica Chan, ex dirigente di Meta e LinkedIn, come nuova responsabile delle relazioni con i gruppi editoriali.

Per il settore dell’informazione, questi accordi stanno diventando una componente cruciale per ridurre le perdite e bilanciare le finanze.

In altri termini, significa affrontare la realtà, in cui un numero sempre maggiore di persone si informerà chiedendo ai chatbot e la capacità sempre più avanzata dei modelli di IA nel ricercare e selezionare notizie.

Becket comunque avverte: “chiudere accordi con le aziende di IA è una scelta pratica. Ma non è qualcosa su cui si possa fare affidamento”.

Alcune aziende, come Google, di solito “condividono un interesse nel mantenere l’ecosistema dell’informazione sano”. Altre no. Se “i loro valori non coincidono” con quelli delle redazioni, diventa troppo rischioso dipendere da relazioni così instabili.

Di fatto, dice il professore, “è solo un primo passo. La maggior parte delle testate sta cercando di differenziare le proprie fonti di reddito”. Nulla di nuovo, quindi.

A queste sfide, gli editori stanno reagendo in vari modi.

C’è chi – come il Financial Times, News Corp, Condé Nast, Der Spiegel e l’italiano Gedi – ha firmato accordi di licenza che consentono ai sistemi di intelligenza artificiale di addestrarsi sui contenuti editoriali.

OpenAI ha inoltre avviato delle partnership con alcuni istituti di ricerca sul giornalismo per sostenere le testate locali e finanzierà direttamente quattro nuove redazioni di Axios negli Stati Uniti.

Non tutti, però, hanno seguito questa strada. Nel 2023, il New York Times ha fatto causa alla stessa OpenAI per violazione del copyright e nel 2024 è stato affiancato da altri otto quotidiani statunitensi.

Ian Crosby, il legale del New York Times, ha sollevato un punto critico: ChatGpt e Bing potrebbero diventare sostituti del sito del giornale, rimpiazzando così il lavoro delle redazioni.

Un altro caso emblematico è quello del Los Angeles Times. Il suo proprietario miliardario, Patrick Soon-Shiong, ha annunciato a dicembre che il giornale avrebbe introdotto uno strumento chiamato “bias meter“, basato sull’IA, per informare i lettori sull’orientamento ideologico degli articoli. Cliccando su un pulsante, si dovrebbe poter chiedere all’intelligenza artificiale di scrivere una versione alternativa della notizia e confrontarla con il testo dell’autore.

Le relazioni tra aziende di intelligenza artificiale e i gruppi editoriali rappresentano un’arma a doppio taglio e il modo in cui le due parti stanno definendo i loro rapporti segnerà il futuro prossimo dell’industria editoriale.

Nonostante le tante incertezze, “mi sorprende vedere quanto i manager nel settore dei media siano ottimisti” riguardo all’IA, conclude Beckett. “Probabilmente perché pensano che li aiuterà a essere più efficienti”.

Devi essere loggato per lasciare un commento.
/ Published posts: 47

Journalist writing on European politics, tech, and music. Bylines in StartupItalia, La Stampa, and La Repubblica. From Bologna to Milan, now drumming and writing in London.

Twitter
Linkedin