IA e pubblicità, le armi a doppio taglio degli influencer

Di il 05 Marzo, 2025
Intelligenza artificiale e campagne aiutano milioni di creativi sui social, ma rischiano di intaccare originalità e credibilità dei contenuti. La creator economy a un bivio

ChatGpt sta rendendo tutto più semplice, anche diventare content creator. Nonostante questo, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale sta anche peggiorando il rapporto fra gli influencer – o presunti tali – e il pubblico.

Lo segnala Fast Company che, in un approfondimento, cita i dati di alcune ricerche, fra cui uno studio di Amazon Web Service, secondo cui il 57% dei contenuti che oggi circolano su internet è generato o tradotto con l’IA.

Il che, spesso, può portare a imbattersi in prodotti simili o comunque meno curati. Una situazione che, stando ai risultati di un sondaggio di Deloitte, in sette casi su dieci diminuisce la fiducia degli utenti in quello che vedono, leggono o ascoltano online e alimenta paura di essere ingannati o truffati.

L’IA non è il solo strumento a rappresentare un’arma a doppio taglio per chi crea contenuti e, dunque, lavora sui social media. Ce n’è almeno un’altra e si tratta della pubblicità.

Fast Company menziona un’analisi di YPulse per mostrare gli effetti negativi di una quantità eccessiva di inserzioni sulle piattaforme. Per il 61% dei partecipanti al sondaggio – un campione di 1.500 statunitensi e canadesi compresi fra i 13 e i 39 anni – “più pubblicità un influencer fa, meno mi fido”.

Il poco trasparente ecosistema dei content creator di destra

A un bivio

Questi numeri evidenziano come la creator economy si trovi in un momento cruciale nel suo percorso di maturazione.

La situazione in continua evoluzione sul piano tecnologico deve fare i conti con un quadro molto complesso sul piano politico.

Il possibile divieto di TikTok negli Stati Uniti – o comunque la possibilità che l’acquisto della piattaforma negli Stati Uniti da parte di una o più società locali ne modifichi il funzionamento e l’algoritmo -, il duello fra Washington e Pechino per il primato sull’IA – con scossoni improvvisi, come il rilascio dell’ultimo modello dell’azienda cinese DeepSeek – e lo stravolgimento dei programmi di fact-checking indipendente da parte di Meta e il ridimensionamento di Google e LinkedIn ne sono i tasselli più importanti.

A fronteggiare questa situazione c’è un esercito di centinaia di milioni di influencer, moltissimi micro, pochissimi molto noti e ricchi.

Nei 20 Paesi in cui c’è il maggiore sviluppo della creator economy si contano oltre 360 milioni di content creator. Di questi, 137 milioni sono in India, 47 milioni in Indonesia, 40 milioni in Brasile e 39 milioni negli Stati Uniti.

Insieme, generano un indotto economico totale di 370 miliardi di dollari.

I numeri complessivi sono notevoli, ma rivelano le disparità e le fragilità quando vengono specificati.

Meno del 2% dei creator supera il milione di follower e solo il 2% guadagna dai 100mila dollari in su, mentre il 75% dei creatori di contenuti ha meno di 10mila follower e il 60% ne ha meno di cinquemila.

Di conseguenza, oltre il 75% non arriva a guadagnare 10mila dollari all’anno, la metà si ferma sotto ai mille, e quasi il 40% non ha nessun ricavo.

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Foto: Unsplash.

Nuovi giorni

Per queste persone, l’intelligenza artificiale e le pubblicità sono sia strumenti necessari per semplificare e economizzare il proprio lavoro, sia una spada di Damocle che rischia di minare la loro originalità e credibilità.

Le prospettive, però, non sono così disastrose.

Alcune piattaforme, come Substack, stanno integrando nuove funzioni per attirare i creator in fuga da TikTok. Altre, come YouTube, continuano a proporre un modello di business favorevole: la piattaforma video di Google, ad esempio, distribuisce a ogni canale con almeno mille iscritti il 55% degli introiti pubblicitari.

Anche il calo degli investimenti complessivi nasconde delle opportunità.

Come sottolinea Fast Company, un’indagine su 292 direttori marketing di varie aziende ha mostrato un calo del budget riservato al marketing sui social media del 23% nel 2023 rispetto all’anno precedente e di un’ulteriore 11% nel 2024.

Ma, allo stesso tempo, i dati evidenziano che i brand hanno più successo a lavorare con i cosiddetti nano influencer. I meno famosi, che, appunto, rappresentano la stragrande maggioranza nell’universo variegato della creator economy.

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