
I social media fanno male o bene? E che effetto fanno su chi è già sofferente? In una ricerca pubblicata su Health Psychology Review, alcuni ricercatori australiani hanno raccolto prove e fattori che incidono sulla salute di chi è già ammalato. La disinformazione sui social media sembra essere in cima alla lista.
Gli psicologi identificano l'”apprendimento sociale” come il modo in cui l’essere umano reagisce alle opinioni degli altri.
E secondo i ricercatori, il parere degli altri a volte si rivela potente quanto l’esperienza vissuta. In certi casi, persino più influente delle informazioni fornite da un medico.

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Effetto placebo
Quello che viene chiamato “effetto placebo” si ottiene quando le persone malate o sofferenti riescono migliorare se credono di essere curate adeguatamente. Il termine è stato introdotto per la prima volta nel 1787 per indicare un “medicamento usato più per piacere che per giovare al malato”.
Praticamente, una sostanza o un tipo di trattamento che si ritiene non abbia specifici effetti curativi su un determinato disturbo o malattia, ma la cui somministrazione può portare a concreti miglioramenti nella situazione clinica del paziente.
Viceversa, quando il paziente è convinto di andare incontro a conseguenze negative, ecco che i medici identificano l’effetto “anti-placebo”, o “nocebo”, come una condizione da cui è molto difficile tornare indietro.

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Dall’Università di Sydney
Secondo la psicologa dell’Università di Sydney, Cosette Saunders, autrice principale dello studio, l’apprendimento sociale potrebbe non essere in grado di diffondere infezioni o causare nuove malattie, ma può causare effetti collaterali dannosi.
La gestione di questi effetti collaterali costa miliardi di dollari ai sistemi sanitari di tutto il mondo.
Per fare un esempio, secondo la dottoressa Saunders, sintomi come vomito e nausea nei pazienti oncologici non sono diminuiti tanto quanto previsto. E questo fenomeno potrebbe essere riconducibile proprio all’apprendimento sociale.
“Se a queste persone viene detto, per esempio, che la loro suocera che ha fatto la chemio vent’anni fa vomitava ogni singolo giorno, il cervello viene influenzato da questo racconto e quel genere di convinzione non li aiuterà, anche se il panorama medico di oggi è cambiato rispetto a quello di 20 anni fa”, si legge sull’Economist.
Qualcosa di simile sembra essere accaduto durante la pandemia di Covid-19: studi condotti in America e Australia hanno scoperto che le persone più esposte all’idea che la vaccinazione provocasse effetti collaterali erano anche quelle che più spesso li segnalavano.
Effetto nocebo
Sebbene l’impatto dell’effetto placebo sia stato riconosciuto per secoli, il lavoro sull’effetto nocebo è, invece, molto più recente: solo negli ultimi due decenni alcuni scienziati si sono convinti del suo impatto nel mondo reale, aiutati da studi che dimostrano come un atteggiamento negativo possa portare a sintomi fisici quali, ad esempio, l’aumento della frequenza cardiaca e l’eccitazione fisiologica.
Secondo la dottoressa Saunders, resta, comunque, difficile da capire quanto di questi effetti sia dovuto all’uso dei social media rispetto, ad esempio, a due chiacchiere con gli amici al pub.
Ma quale potrebbe essere, quindi, una via d’uscita dall’effetto nocebo? A detta della ricercatrice, una strada ci sarebbe: quella di bilanciare gli avvertimenti di effetti collaterali sgradevoli con testimonianze positive di pazienti che, al contrario, non hanno avuto alcun problema.
Insomma, la chiave sta nella comunicazione. Corretta, però.