C’è un’attenzione crescente verso gli aspetti dannosi dei social media.
Di recente, la California ha presentato un disegno di legge che prevede di introdurre sulle piattaforme delle etichette che avvertano dei pericoli per la salute mentale degli utenti, soprattutto i bambini. In Australia, il parlamento ha vietato l’utilizzo dei social media per le persone sotto ai 16 anni.
Eppure, fermarsi soltanto ai lati negativi è soltanto una parte della storia, sostiene Richard Florida, professore dell’Università di Toronto e studioso degli impatti sociali ed economici dei social media.
In un approfondimento su FastCompany, Florida cita i dati più importanti di una sua ricerca sulla creator economy, ossia l’indotto economico generato dalla creazione di contenuti, in qualsiasi formato, sulle piattaforme digitali.
La tesi di fondo è che l’utilizzo dei social media abbia permesso a milioni di persone, lontane dal successo della ristretta cerchia dei ricchi e famosi grazie ai social, di presentare idee, nuovi progetti e, in diversi casi, guadagnare dei soldi in autonomia.
I dati, finalmente
La ricerca di Florida, condotta su un campione di circa 10mila individui di 20 nazionalità diverse, assume importanza anche perché si tratta di uno dei primi studi sistematici sull’impatto economico della creator economy.
In questi 20 Stati, ci sono più di 360 milioni di content creator – 137 milioni sono in India, 47 milioni in Indonesia, 40 milioni in Brasile e 39 milioni negli Stati Uniti – che generano un indotto economico complessivo di quasi 370 miliardi di dollari.
Attraverso i risultati della ricerca, Florida ha potuto dividere il mondo dei creatori di contenuti in due categorie.
Da una parte, le celebrità dei social – poche e in grado di assicurarsi la maggior parte della visibilità e dei ricavi.
Dall’altra, il restante variegato universo di coloro per i quali i social media sono il modo attraverso cui mostrare la propria creatività e progetti lavorativi. Per quanto riguarda il guadagno economico, per alcuni di loro è l’intero stipendio, per tanti altri un’entrata aggiuntiva.
Questo secondo gruppo è la spina dorsale, in termine di quantità ed estro, del mondo dei social media.
Non a caso, i risultati dello studio mostrano che i cinque motivi più comuni che hanno spinto i creator a iniziare questa strada ci sono la possibilità di mostrare il proprio talento, divertirsi, intrattenere gli utenti, creare delle connessioni con gli altri e condividere con loro i propri contenuti.
Le disparità economiche
Il guadagno economico è soltanto la sesta delle motivazioni più menzionate dai creator. C’è una ragione per cui non è neanche tra le prime cinque: un guadagno economico notevole dai contenuti digitali richiede un seguito molto vasto, difficile da raggiungere.
In particolare, si legge nella ricerca, meno del 2% dei creator supera il milione di follower e solo il 2% guadagna dai 100mila dollari in su. Essere davvero famosi sui social media, quindi, è un’impresa per pochi.
E infatti, il 75% dei creatori di contenuti ha meno di 10mila follower, il 60% ne ha meno di cinquemila. Di conseguenza, oltre il 75% guadagna meno di 10mila dollari all’anno, la metà ne guadagna meno di mille e quasi il 40% non ha nessun ricavo.
La democrazia dei racconti
Anche se si guadagna poco, condividere costa nulla. L’attivista Deja Foxx, intervistata da Florida, ha sottolineato come i social media abbiano eliminato i filtri all’entrata, tipici dei media tradizionali, che impedivano a tutti di aspirare a comunicare a un grande pubblico.
“I social media mi hanno spinto in poco tempo da una dimensione locale a un palcoscenico nazionale”, ha detto Foxx. “Per troppo tempo ci sono stati dei gatekeeper che decidevano quali storie meritassero di essere raccontate”. Con i social media, questo meccanismo, tipico del giornalismo, è decaduto, almeno in parte.
Che le piattaforme siano una vetrina per molte persone creative in cerca di un pubblico lo dimostrano i mestieri svolti dai tanti content creator che non guadagnano abbastanza attraverso i social media. Metà ha infatti un altro lavoro a tempo pieno, il 14% di loro ne ha uno part-time.
La metà dei mestieri dei creator sono in ambiti creativi o legati alla produzione di conoscenza – ad esempio, in un settore scientifico, ingegneristico, manageriale, nei campi dell’istruzione, della medicina o dell’arte.
Sui social, insomma, c’è spazio per tutti quelli che hanno qualcosa da raccontare. E il successo non è garantito.