Categoria: cultura/1
Poco coraggio, molte tartine, nessun nemico. La giostra dello scrittore. Di Marco Lodoli, Il Foglio del 9 giugno 2024
l piccolo mondo antico della letteratura italiana è diventato troppo borghese, quindi noioso? Se lo chiede Marco Lodoli, scrittore eterodosso, insegnante, autore nel 1986 di Diario di un millennio che fugge, memorabile libro di esordio.
“È difficile capire come un piccolo manipolo di disadattati, sociopatici, depressi, schizzati, gente che per anni non è riuscita nemmeno a pagare una bolletta alle poste, ma che disperatamente ha coltivato in segreto il sogno dell’arte e si è dedicata a un mondo fuori da questo mondo, d’improvviso divenga il combustibile di una macchina che marcia indifferente sulle rotaie del Frecciarossa, che non ha altre preoccupazioni che prenotare un tavolo per venti dopo la presentazione e ricordarsi di inviare entro un mese trecento o cinquecento euro sull’Iban dell’autore”.
Lodoli si riferisce alla società dei festival letterari, delle recensioni incrociate, delle comparsate in televisione, dei firmacopie; si riferisce all’industria culturale contemporanea, tanta sovrastruttura e poca sofferenza. E allora, in negativo, riesce a darci un’immagine efficace e finale di quello che dovrebbe essere davvero uno scrittore, uno spirito creativo o un artista: “bocciato varie volte a scuola, afasico fino a dieci anni, poi mezzo catechista e mezzo teppista, visioni mistiche e cassonetti bruciati, e su un quaderno le prime poesie che spaventavano i genitori e gli insegnanti, bipolare, tripolare, un mezzo tentativo di suicidio, anoressia, bulimia, confusione, molto alcol, e alla fine il primo romanzo, zoppicante ma con lampi di verità, incerto ma con parecchie righe da sottolineare con forza. Chiunque fosse, era un tipo originale, forse un po’ inquietante ma capace a volte di spaccare lucchetti e frugare in un altrove”.
Categoria: cultura/2
Il giallo mi è fedele, il rosso no. Di Jorge Luis Borges, Il Fatto Quotidiano dell’11 giugno 2024
Nelle Postille al Nome della rosa, Umberto Eco ad un certo punto parla del personaggio di Jorge da Burgos, il bibliotecario cieco del romanzo. I lettori gli hanno chiesto se il personaggio evocasse Borges e lui risponde che, se crei un personaggio cieco e lo metti in una biblioteca, che è una buona idea narrativa, il risultato non può che essere Borges.
Adelphi pubblica ora Sette sere, una raccolta di conferenze tenute dal grande scrittore argentino negli anni ’70. Una di queste si intitola, appunto, Cecità, nella quale Borges racconta di essere completamente cieco da un occhio e parzialmente dall’altro. Riesce a riconoscere alcuni colori ma ce n’è uno che gli è sempre rimasto fedele: il giallo.
Ricorda il giallo della tigre allo zoo, su cui ha scritto una poesia. Ma non vede più il rosso, che gli manca particolarmente: “Il cieco vive in un mondo abbastanza scomodo, un mondo indefinito dal quale emerge qualche colore: nel mio caso ancora il giallo, ancora il blu (anche se il blu può essere verde), ancora il verde (anche se il verde può essere blu). Il bianco è sparito o si confonde col grigio. Quanto al rosso, è sparito del tutto, ma spero prima o poi (sto seguendo una terapia) di migliorare e di poter vedere questo straordinario colore, questo colore che risplende in poesia e che ha nomi così belli in molte lingue. Pensiamo al tedesco scharlach, all’inglese scarlet, al nostro escarlata, al francese écarlate. Termini degni di questo straordinario colore”.
E nel 1955 quest’uomo cieco diventa, paradossalmente, direttore della Biblioteca Nacional di Buenos Aires, in mezzo a novecentomila libri: “Constatai che a stento riuscivo a decifrarne i frontespizi e i dorsi. Fu allora che scrissi la Poesia dei doni, che inizia: “Nessuno a lacrime riduca o accuse/ questo attestato dell’alta maestria/ di Dio, che con magnifica ironia/ mi ha destinato insieme libri e notte”. Due doni che si contraddicono: i molti libri e la notte, l’incapacità di leggerli.
Categoria: politica
L’idea forte che serve a sinistra. Di Stefano Folli, La Repubblica del 12 giugno 2024
L’esito delle elezioni europee è stato sicuramente fausto per il Partito democratico, la cui leader Elly Schlein consolida il posizionamento di leader dell’opposizione. Questo è particolarmente vero nel Sud Italia, dove da anni il Movimento 5 Stelle risultava il partito più votato dell’area del centro sinistra, soprattutto in seguito all’introduzione del Reddito di cittadinanza.
Ma il tema del Pd adesso non può più essere l’opposizione, deve pensare a un’idea di Paese da contrapporre a quella della destra. Anche il concetto di “campo largo” è ormai riduttivo, perché sottintende una condizione paritaria del fronte di opposizione che, oltre a essere sementito nei numeri, diventa debolezza politica.
“Citare un’idea forte significa invece suggerire che esiste una formazione destinata a guidare le altre sulla base di un progetto riformatore: quindi la coalizione nasce in una precisa logica politica. Per il primo governo Prodi l’idea fu l’adesione all’euro, che implicava una serie di riflessi e ricadute di tipo economico e sociale. Era il nucleo di un disegno modernizzatore, peraltro realizzato solo in parte. Fu molto contestato, come è noto, ma, ciò nonostante, la battaglia fu vinta dagli europeisti e adesso quasi nessuno parla più di Italexit”.
Per il momento Schlein non ha saputo indicare un tema riformatore unificante: “Il salario minimo e la sanità pubblica sono questioni essenziali per una coalizione di sinistra, ma forse non bastano. Il centrosinistra storico degli anni Sessanta aveva un profilo e un’ambizione riformatrice ben maggiore”.
Categoria: politica internazionale
Per la Commissione il rebus maggioranza. Di Massimo Bordignon, lavoce.info dell’11 giugno 2024
Il voto di giugno 2024 ha identificato un chiaro vincitore, l’Epp, il partito popolare europeo. Ci sono poi alcuni chiari perdenti: i liberali (il gruppo Renew Europe che fa riferimento al presidente francese Emmanuel Macron) e i verdi.
Si rafforzano invece i conservatori di Ecr, il gruppo presieduto da Giorgia Meloni mentre più confusa è la situazione per Identità e Democrazia, anche a causa del fatto che Afd, il partito neonazista tedesco che ha ottenuto un buon risultato in Germania (è il secondo partito), è stato escluso dal gruppo (a cui appartengono sia il partito di Marine Le Pen, Rassemblement National, che la Lega di Matteo Salvini).
Dati i risultati delle elezioni, la peculiare architettura istituzionale creerà problemi non da poco all’interno del Consiglio per la scelta del candidato per la carica di presidente. Per sostenere il nuovo presidente la coalizione dei tre partiti dovrà essere con tutta probabilità ampliata, o a sinistra (verso i verdi) o a destra (verso i conservatori europei).
Entrambe le coalizioni sarebbero sufficientemente larghe da consentire l’elezione di un candidato. Comunque, nessuna delle due ipotesi appare semplice da costruire sul piano politico. È invece abbastanza facile immaginare quali saranno gli impatti sulle politiche europee. Dato lo spostamento politico a destra del Parlamento, che queste politiche deve votare, è comunque ragionevole immaginare che una parte del Green Deal verrà accantonato o comunque reso meno esigente in termini di tempistiche.
Viceversa, ci sarà un’attenzione più forte sui confini dell’Unione, ma probabilmente solo nel senso di introdurre politiche ancora più restrittive sull’immigrazione. Si investirà sulla difesa, per esempio, ma è difficile immaginare che il percorso vada nella direzione della “difesa europea comune”.
Categoria: recensione
Gli autori bravi e i lettori joyciani. Di Antonio Gurrado, Il Foglio del 12 giugno 2024
“Nessuno ricorda il vecchio Cotter, eppure ha un ruolo di rilievo nella storia della letteratura: è il primo personaggio di James Joyce che pronunci un discorso diretto. Lo fa nel primo racconto di Gente di Dublino, di cui il Saggiatore manda ora in libreria una nuova versione – di Enrico Terrinoni e Fabio Pedone, gli eroi che avevano finito di tradurre Finnegans Wake per Mondadori – giusto in tempo per il Bloomsday. In una corposa nota a pie’ di pagina, i curatori spiegano che Joyce aveva forse in mente tale Patrick Cotter, gigante da circo che millantava una discendenza da re Brian Boru (XI secolo), alla cui mitologia Joyce ha attinto a piene mani; che old Cotter richiama Henry Olcott, divulgatore dell’occulto cui Joyce si è oltremodo abbeverato; e che un misterioso “Terry Cotter” appare venticinque anni dopo in Finnegans Wake, a dimostrare una continuità tra tutte le opere letterarie di Joyce. Impressiona come bastino a sancirla due parolette brevi abitualmente inosservate (nessuno ricorda il vecchio Cotter) e come la stessa opera di scavo venga condotta da Terrinoni e Pedone decine di volte per ciascuno dei racconti. E’ infatti un luogo comune parlare di un Joyce prima facile e poi difficile, incomprensibile senza monumentali volumi come Annotations to James Joyce’s Ulysses (Oxford University Press, 1.424 pp., 192,71 euro) o Annotations to Finnegans Wake (Johns Hopkins University Press, 664 pp., 46,31 euro), che rendono ogni pagina, ogni riga, ogni parola un caleidoscopio di connessioni. Quest’edizione del Saggiatore (326 pp., 27 euro) ambisce invece a dimostrare che, anche quando sembra semplice, Joyce scrive complicatissimo; che la complessità va cercata negli occhi di chi guarda, nella capacità del lettore di darsi da fare scovando riferimenti, allusioni, parodie; e che quindi ogni autore può diventare interessante se ha un lettore abbastanza joyciano, affetto da un’ideale insonnia e capace di comprendere che tutte le parole di tutti i libri sono sempre interconnesse. Gli autori bravi (non solo Joyce) sono quelli che se ne accorgono e agiscono di proposito; gli altri scrivono tanto per scrivere, ma non è detto si debba leggerli con la loro stessa superficialità”.