La vittoria di Donald Trump ha suscitato dubbi sulla capacità effettiva dei media di orientare l’opinione pubblica. Nonostante l’ampia copertura, spesso critica, dei suoi comportamenti e delle sue posizioni, la popolarità di Trump è rimasta stabile, evidenziando la ormai limitata capacità delle principali testate di incidere sul pubblico in un contesto ormai profondamente trasformato.
Secondo il giornalista Max Tani di Semafor, la resilienza politica di Trump si lega anche alla difficile situazione economica globale e ad alcuni errori strategici commessi dal team di Biden e dalla campagna di Harris. Infatti, nonostante una copertura mediatica negativa che avrebbe danneggiato altri candidati, Trump è riuscito a ottenere il sostegno di elettori disillusi, che hanno ignorato o rifiutato i messaggi diffusi dai principali media tradizionali.
Trump non è stato trascurato dai media
A differenza del 2016, quando i media furono accusati di aver sottovalutato Trump, questa volta le principali realtà editoriali, come CNN e New York Times, hanno trattato con attenzione la sua candidatura e i rischi associati alla sua retorica autoritaria. Le trasmissioni televisive, come i talk show, hanno persino mostrato al pubblico il significato di “fascismo”, cercando di mettere in evidenza le tendenze autoritarie dell’ex presidente. Nonostante ciò, molti critici sostengono che la copertura mediatica non sia riuscita a dissuadere gli elettori dal votarlo. Gli elettori, quindi, o non concordano con l’opinione dei media tradizionali su Trump, o non la vedono, o non la ritengono rilevante.
I media tradizionali in questo panorama frammentato
Il panorama mediatico è frammentato come mai prima d’ora. David Remnick, direttore del New Yorker, ha infatti sottolineato che la frammentazione dell’audience ha ridotto il raggio d’azione delle principali testate. Anche il New York Times, pur con 11 milioni di abbonati, copre una frazione limitata della popolazione americana. Le grandi testate riconoscono quindi di parlare a un pubblico sempre più ristretto, mentre l’attenzione dei cittadini si sposta verso piattaforme digitali o fonti meno autorevoli.
Secondo alcuni manager dell’industria, il problema non riguarda solo la portata e la distribuzione delle notizie, ma è proprio la qualità dei contenuti a non soddisfare il pubblico, come ha detto Jim VandeHei, fondatore di Axios: “Il verdetto è chiaro: metà del Paese pensa che i media tradizionali siano faziosi e spesso inutili”.
Nel tanto criticato mancato endorsement alla Harris, il proprietario del Washington Post, Jeff Bezos, ha riconosciuto che molti americani hanno ignorato le opinioni del Post e dei media mainstream, specialmente riguardo ai temi politici.
In questo complesso panorama, Jessica Lessin, fondatrice di The Information, ha esortato i giornalisti a mantenere cautela, sottolineando che non è compito dei media indirizzare i propri lettori. “La fiducia nel giornalismo è crollata; è più bassa rispetto a quattro anni fa” ha scritto. “Ciò richiede cautela. Non significa evitare domande difficili, ma dobbiamo ricordare che il nostro compito è rivelare fatti nuovi e importanti, non dire ai lettori cosa pensare. Quello che i giornalisti devono capire è che possiamo e dobbiamo difendere il giornalismo di qualità, senza lasciare che ciò influisca sulla nostra imparzialità”.
Secondo il direttore dell’Atlantic, Jeffrey Goldberg, le testate tradizionali siano diventate un bersaglio per i poteri forti, come Musk, che mirano a screditare le inchieste giornalistiche. Questo ha danneggiato ulteriormente la percezione pubblica dei media tradizionali, alimentando la diffidenza verso le fonti consolidate.
Per affrontare queste criticità, CNN ha lanciato una strategia innovativa, con il nuovo CEO Mark Thompson che vuole seguire il pubblico là dove si trova oggi e dove sarà domani. Tuttavia, anche questo approccio presenta delle difficoltà, poiché la copertura delle notizie da parte dei media tradizionali richiede un livello di rigore e accuratezza che molte nuove piattaforme non rispettano. In questo panorama, podcast e video di YouTube possono trasmettere opinioni senza le stesse responsabilità, accendendo i consensi di chi è stanco delle “regole” dell’informazione mainstream.
La crisi del modello di business
L’era del “cord-cutting” – cioè l’addio alle reti via cavo spesso a favore delle piattaforme streaming come Netflix – e della chiusura dei giornali locali ha messo a dura prova il modello di business dei media tradizionali. Infatti, molte testate non dispongono delle risorse necessarie per competere con il mondo digitale. Durante le ultime settimane di campagna, il tentativo della campagna di Harris di organizzare un aereo privato per la stampa è fallito per mancanza di fondi, evidenziando la disparità di risorse rispetto a una volta, quando i media dominavano la copertura elettorale.
La sopravvivenza dei media dipende ora dalla loro capacità di ripensarsi e reinventarsi, sia in termini di portata che di approccio. Tuttavia, le sfide economiche e il panorama mediatico sempre più frammentato rendono questo compito particolarmente difficile.