Nel più grande anno elettorale della storia, con oltre il 40% della popolazione mondiale che avrà l’opportunità di votare, il temuto impatto della propaganda generata da deepfake (e più in generale dall’intelligenza artificiale) sulle elezioni sembra essere meno determinante del previsto. Funzionari della sicurezza nazionale, dirigenti delle aziende tecnologiche e osservatori non hanno finora notato gli effetti distorsivi che si temevano.
Dalla viralità alla varietà
L’assenza di criticità evidenti legate all’AI potrebbe tuttavia rivelarsi un’illusione pericolosa. Esperti avvertono che l’AI potrebbe già essere all’opera, influenzando velatamente le percezioni e le decisioni degli elettori senza che questi se ne accorgano. Questo nuovo tipo di disinformazione è più difficile da individuare rispetto alle precedenti campagne, dato che può variare leggermente il messaggio migliaia di volte, rendendo l’identificazione e la prevenzione più complesse.
Motivo per cui Josh Lawson, ex responsabile del rischio elettorale presso Meta e attuale dirigente del think tank Aspen Institute, suggerisce alle aziende tecnologiche di spostare la loro attenzione dalla “viralità alla varietà”.
Chiunque può generare fake news
L’accessibilità e l’uso diffuso degli strumenti di AI permettono a chiunque di generare fake news, fattore che abbassa non solo il costo di distribuzione, ma anche quello di creazione, rendendo la disinformazione uno strumento alla portata di tutti.
Meta ha risposto a queste sfide etichettando i contenuti generati da AI su piattaforme come Facebook e Instagram. Strategia che potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio se il pubblico iniziasse a presumere che qualsiasi contenuto non etichettato sia autentico.