Il Consiglio d’Europa critica l’Italia per l’abuso delle querele di diffamazione contro i giornalisti

Di il 14 Marzo, 2025
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Il report annuale sulla libertà di stampa mette in guardia sulla guerra ibrida dell’informazione nell’Unione Europea e le crescenti precarietà del mestiere

A marzo è stato pubblicato il report annuale relativo allo scorso anno sulla libertà di stampa in Europa, promosso dal Consiglio d’Europa e sostenuto da 15 enti specializzati.

Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione internazionale intergovernativa per la tutela dei diritti umani. Comprende 46 Paesi dell’Europa continentale tra i quali c’era, fino al 2022, anche la Russia. Non è uno degli organi dell’Unione Europea, benché tutti i 27 Stati membri dell’Ue ne facciano parte.

Il titolo della ricerca, “Confronting political pressure, disinformation and the erosion of media indipendence”, segnala alcune problematiche sull’indipendenza dei media e sulle conseguenze a livello politico dell’informazione.

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Il Palazzo d’Europa, la sede del Consiglio d’Europa a Strasburgo, in Francia. Foto: Wikimedia Commons.

Nel radar finisce anche l’Italia per due motivi principali: l’utilizzo strategico della diffamazione e l’ulteriore deterioramento dell’indipendenza della Rai dalla politica.

Il report si apre con alcune raccomandazioni, basate sulle ricerche svolte e rivolte a Consiglio d’Europa, Commissione Europea e singoli Stati membri del Consiglio stesso.

Secondo il rapporto è inoltre necessaria una maggiore vigilanza sul processo di adattamento dei vari Paesi agli standard europei, raccomandando soprattutto di occuparsi della formazione e della protezione, fisica e digitale, dei giornalisti.

Un punto è dedicato alla disciplina legale della diffamazione. Si chiede di proteggere maggiormente i giornalisti da queste accuse e, al contrario, di non tutelare a oltranza le figure pubbliche.

E proprio in questo l’Italia sembra essere lacunosa.

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Foto: Canva.

Informazione e guerra ibrida

La piattaforma Safety of Journalists, creata nel 2014 con un memorandum tra le 15 associazioni partner e il Consiglio d’Europa, permette alle organizzazioni stesse di segnalare abusi della libertà di stampa avvenuti nei paesi membri e dopo aver verificato fatti e attendibilità dei singoli casi.

Rispetto all’anno precedente, nel 2024 sono aumentati gli attacchi alla sicurezza fisica dei giornalisti, con 483 segnalazioni.

Diminuiscono invece quelle relative alla detenzione, che si concentrano nelle zone della guerra in Ucraina e poi in Russia, Turchia, Serbia e Georgia.

Riguardo al conflitto in corso Gaza, azioni intimidatorie verso i giornalisti si sono riscontrate in Svezia, Danimarca, Germania, Italia e Regno Unito.

La guerra, conferma il report, è diventata ibrida e si combatte anche con le armi dell’informazione: manipolazione dell’opinione pubblica tramite censura e cospirazionismi hanno sortito i loro effetti nelle elezioni in Romania, portando prima all’annullamento delle elezioni e poi all’esclusione del candidato ultra-nazionalista Calin Georgescu.

Le minacce e gli attacchi a testate e cronisti non conoscono confini: Cina, Russia e Iran – ma non solo – hanno fatto ricorso a repressione di giornalisti critici anche in altri paesi.

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La sede della Rai in viale Mazzini a Roma. Foto: Wikimedia Commons.

Italia, bene ma non benissimo

Nella ricerca, c’è una sezione intitolata “Countries in focus”, dedicata a quei Paesi in cui si sono osservate alcune tendenze negative che, secondo lo studio, andrebbero monitorate nei prossimi mesi.

Gli Stati in questione sono Slovacchia, Georgia e proprio l’Italia.

Nonostante la situazione sia migliore rispetto agli altri due Stati, secondo la ricerca il bel Paese è il Paese dell’Unione Europea in cui la situazione è peggiorata di più nel corso del 2024.

Il primo riferimento del report è all’ingerenza politica sulla Rai.

A questo proposito, viene menzionato come esempio la cancellazione del programma del giornalista Roberto Saviano nel 2023.

In più, secondo il Consiglio d’Europa, anche la riduzione del budget a disposizione del servizio pubblico contribuisce a minarne l’indipendenza.

Attraverso la piattaforma, sono stati segnalati in Italia quattro casi di aggressione fisica e tre di intimidazione verbale rivolti ai giornalisti, un numero limitato a fronte della quantità di denunce per diffamazione, che sta invece crescendo.

Oltre all’influenza politica sulla Rai – in particolare, la mancata risposta delle autorità sulle nomine dei vertici – è l’uso politico della diffamazione a rappresentare, non solo per l’Italia, ma per tutta l’Europa, il motivo di preoccupazione più allarmante.

L’Italia, però, è anche nella lista di buone pratiche.

Vengono infatti elogiati sia il sistema di protezione dei giornalisti – soprattutto per quelli che si occupano di criminalità organizzata -, creato nel 2017, sia il rapporto trimestrale che il nostro Ministero dell’Interno stila autonomamente per monitorare gli  “Atti intimidatori nei confronti dei giornalisti”, entrambi considerati esempi da seguire per gli altri Stati.

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Palazzo Berlaymont, la sede della Commissione Europea a Bruxelles. Foto: Canva.

Informazione nell’Ue

Quanto accaduto con le nuove scelte delle big tech, che hanno deciso di tagliare i programmi per la moderazione dei contenuti, sarà un banco di prova per testare l’efficacia del Digital Service Act, cioè il regolamento europeo sui servizi e i contenuti digitali.

In un discorso tenuto all’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, la giornalista del Guardian Carole Cadwalladr ha evidenziato gli impatti delle crescenti tensioni fra media e governo negli Stati Uniti sul continente europeo.

Nello specifico, ha allertato circa l’influenza di piattaforme come X sull’esito delle elezioni anche nei Paesi europei, con conseguenze da non sottovalutare sul grado di libertà e sicurezza dei paesi Ue.

Sono tanti gli spunti di riflessione indotti dal report, che non si concentra solo sul giornalismo di inchiesta nelle autocrazie e dittature.

In realtà, mette in luce alcuni problemi comuni tra le democrazie europee. Ad esempio, la commistione tra attività politica e proprietà dei media, una caratteristica ricorrente anche in Italia.

Un altro motivo di preoccupazione per il futuro riguarda lo stato di salute economica della nuova leva di giovani giornalisti.

La crescente “uberizzazione” di questo mestiere e la precarietà dei contratti, rendono gli emergenti – ma non solo – molto fragili e spesso impossibilitati a svolgere la professione con continuità e indipendenza.

Dovrebbe essere di sicuro un cruccio dei Paesi dell’Unione Europea mettere in condizione i giornalisti di effettuare le proprie scelte etiche e deontologiche in piena libertà.

Ma il Consiglio d’Europa di Paesi membri ne ha 46 ed è quindi difficile pensare che, nel breve termine, tutti possano uniformarsi agli standard legislativi dell’Ue. Standard che, in ogni caso, non sono ancora sufficienti a risolvere molti dei problemi del mestiere.

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Ludovica Taurisano è dottoranda di ricerca in Global History and Governance per la Scuola Superiore Meridionale di Napoli, con un progetto di ricerca sull’editoria popolare e l’informazione politica negli anni Sessanta e Settanta. Con una formazione in teoria e comunicazione politica, si è occupata di processi di costruzione dell’opinione pubblica; ha collaborato con l’Osservatorio sulla Democrazia e l’Osservatorio sul Futuro dell’Editoria di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Oggi è Program Manager per The European House – Ambrosetti. Scrive di politica e arti performative per Birdmen Magazine, Maremosso, Triennale Milano, il Foglio, Altre Velocità e chiunque glielo chieda. Ogni tanto fa anche cose sul palco.