La vittoria di Donald Trump alle elezioni “potrebbe non essere una bella notizia per l’America, ma è una gran bella notizia per Cbs“, aveva detto il suo ex amministratore delegato Leslie Moonves nel 2016, all’alba della prima campagna elettorale del presidente eletto.
Oggi, la situazione è diversa. Non c’è stato quel forte aumento negli ascolti televisivi e nella lettura dei giornali che si è verificato subito dopo la prima elezione di Trump.
Anzi, nonostante il traffico dei maggiori siti di informazione sia aumentato in media di un leggero 6,8% il giorno delle elezioni rispetto al 2020, già nelle 24 ore seguenti è diminuito del 20% in confronto allo stesso giorno di quattro anni prima, quando a vincere era stato Joe Biden.
Ma quello che non è cambiato è il senso di continue, possibili sorprese che Trump alla Casa Bianca porta con sé. Sorprese che potrebbero essere positive per i giornali, offrendo loro ogni giorno commenti divisivi e aneddoti singolari su cui fare leva per attrarre pubblico.
Nonostante le aperte critiche, quando non minacce, di Trump ai media tradizionali, questi potrebbero – e dovrebbero – ricordarsi di quale miniera d’oro sia stata la prima presidenza Trump, in particolare per due filoni giornalistici.
Il primo dei due, ricordava il cofondatore di Vox Matthew Yglesias su Substack, è il giornalismo di inchiesta, che ha potuto attingere alla lunga serie di episodi controversi e procedimenti giudiziari legati al presidente e ai suoi collaboratori.
In secondo luogo, gli editoriali, soprattutto dei giornali liberali critici verso l’amministrazione Trump, hanno avuto vita facile e sono proliferati.
Giornali, servitevi pure
Per i corrispondenti da Washington, la prima presidenza Trump è stata un grande banchetto a cui servirsi per consegnare ottimi articoli in redazione o aumentare la propria notorietà.
Nel primo caso, la continua fuga di notizie e la facilità con i quali deputati e senatori repubblicani rilasciavano dichiarazioni sul presidente permetteva alle testate di pubblicare contenuti da leggere.
In più, scrive Yglesias, “ogni giornalista ben informato a Washington ha ottenuto un ottimo contratto editoriale per scrivere un libro sulla politica dell’era Trump”.
Eppure, la seconda campagna elettorale di Trump e gli scossoni derivati in primo luogo dalle scelte di Mark Zuckerberg subito dopo la sua vittoria hanno cambiato le carte in tavola e il contesto rispetto al suo primo mandato.
Lo staff del presidente eletto ha scelto di boicottare le testate tradizionali e affidarsi ad altri canali, dai podcast conservatori alla Joe Rogan e Charlie Kirk agli influencer e creator specializzati – in modo più o meno fazioso – in attualità politica.
Sul lato dei social media, la conveniente svolta a destra di Meta ha completato il processo di allineamento delle principali piattaforme – X, Facebook e Instagram – ai toni e alle modalità che piacciono a Trump e meno a diversi giornali: pochi o nessun controllo, uno vale uno, le informazioni da fonti affidabili valgono tanto quanto i post propagandistici dell’ultimo degli utenti anonimi.
Alla lista manca TikTok. Il destino delle sue attività negli Stati Uniti è incerto, ma lo sarà ancora per poco. L’esito della vicenda, invece, è tutto da scrivere ed è difficile fare previsioni.
Fate il vostro gioco
Dopo il risultato delle elezioni statunitensi dello scorso 5 novembre, un responsabile dei social media di una testata politica ha consigliato ai dipendenti del suo reparto di prendersi qualche giorno di vacanza e prepararsi mentalmente ai primi tre mesi della seconda amministrazione Trump.
È solo uno dei tanti esempi, riportati da Digiday, di come le redazioni stiano affrontando al ritorno di Trump alla Casa Bianca.
Le strategie variano, ma le opportunità sembrano esserci per tutti, anche stavolta.
Tre giornalisti di importanti testate hanno parlato in forma anonima, concordando su un punto. Aspettare. Stabilire una nuova strategia editoriale a prescindere potrebbe essere controproducente.
Saranno fondamentali i “primi nove-dieci mesi dopo le elezioni”, ha dichiarato Kevin Ponniah, un importante giornalista di Bbc News, a capo di un gruppo di 35 redattori che segue gli Stati Uniti e il Canada.
In questo lasso di tempo, Ponniah vede “una grande opportunità” per aumentare il numero di lettori.
Chi ha già deciso
Tra i gruppi editoriali contattati da Digiday, quelli che stanno invece riadattando la propria strategia al ritorno di Trump hanno individuato due aspetti urgenti su cui focalizzarsi: orari e contenuti.
Il presidente eletto di solito pubblica sul suo social media, Truth, o su X in orari poco canonici, dalle cinque del pomeriggio a mezzanotte. Di conseguenza, le testate non sempre possono permettersi di privarsi dei giornalisti più esperti – che di solito lavorano fino alle cinque – in questa fascia oraria così delicata.
Questa situazione rischia di sovraccaricare i redattori di lavoro. “Ogni giorno c’era lo scoop delle cinque del pomeriggio” ha detto un responsabile dei social media di un grande giornale, riferendosi agli anni della prima amministrazione Trump.
La sua rielezione coincide con un cambio di tendenza da parte dei social media, sempre meno propensi a supportare il traffico esterno – e dunque i ricavi – dei giornali.
In questa combinazione, Google è diventato ancora più indispensabile, soprattutto attraverso la funzione Discover, che da solo procura il 25,7% del traffico esterno totale alle testate.
Google Discover, però, predilige le storie originali e i contenuti più morbidi e mondani e testate come il Daily Mirror, Newsweek e Huffington Post stanno già aggiustando il tiro, promuovendo questo tipo di contenuti.
A quanto pare, le notizie politiche che accompagneranno la nuova presidenza Trump saranno quindi contornate da storie incentrate, ad esempio, sulla “famiglia americana” e sui consigli per un buon uso della tecnologia.
Il secondo Trump bump
Non tutto, però, è come sembra. Il cosiddetto Trump bump, l’aumento del traffico sui giornali dovuto alla vittoria del candidato repubblicano, può materializzarsi anche in altri modi.
Il Guardian, punto di riferimento dell’informazione progressista, si basa su un sistema di abbonamenti e donazioni volontarie. La sua sezione statunitense ha fatto sapere di aver più che raddoppiato i fondi raccolti lo scorso anno, passando da 2,2 milioni di dollari al 2023 a 5,13 milioni nel 2024, e prevede un deciso aumento dei suoi abbonati nei prossimi mesi.
Dopo essere stato rieletto, Trump ha dichiarato che, a differenza della sua prima amministrazione, “in questo secondo mandato, tutti vogliono essere miei amici”.
Il Guardian, ricorda Brian Stelter sulla Cnn, gli ha risposto nell’email mandata ai suoi lettori per chiedere loro una donazione di fine anno. “Non abbiamo alcune interesse a essere amici di Donald Trump o di qualsiasi altro politico”, c’è scritto.
Forse, in fin dei conti, qualcosa di simile al 2016 c’è ancora.