Chi sorveglierà gli influencer

Di il 28 Novembre, 2024
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In più del 60% dei casi i content creator non controllano le fonti dei loro contenuti e quasi la metà si basa sulla popolarità della notizia

Il “se ne parlano tutti, sarà vero” non dovrebbe valere per chi fa informazione. Anche se non si tratta di testate, ma di content creator, che comunque sempre di notizie si occupano. Unesco invece fa sapere che è proprio così. Per poco meno della metà degli influencer sui social, il 42%, la popolarità – intesa come numero di mi piace e visualizzazioni – è il parametro di valutazione delle proprie fonti.

È un problema. Per due ragioni principali. La prima riguarda il metodo ed è la quasi totale assenza di un processo di fact-checking da parte dei creator. La seconda è inerente agli effetti della disinformazione amplificata da questi profili.

Numero uno, cosa è vero

Se la popolarità come primo parametro per valutare la veridicità di un contenuto è una premessa, il prosieguo non è roseo.

Il secondo criterio, citato dal 21% dei 500 influencer in 45 Paesi intervistati da Unesco, è il fatto che un contenuto sia o meno condiviso da persone considerate di fiducia – amici o esperti. Il 19% prende poi in considerazione la reputazione dell’autore o dell’editore di un dato contenuto.

Il parametro decisivo, ossia la presenza di prove, fatti e documentazione – la ricerca e il controllo delle fonti, insomma – giace in fondo alla lista, utilizzato dal 17% dei partecipanti.

Andando ad analizzare il metodo utilizzato dagli influencer, lo studio Unesco ha rilevato che solo poco più di un terzo dei creator (37%) afferma di monitorare le informazioni prima di diffonderlo. Un controllo che, nei casi più virtuosi, significa incrociare le fonti fra diverse testate, persone, aziende e fonti considerate affidabili – comunque, le fonti ufficiali dirette sono consultate molto raramente.

Numero due, cosa succede se non è vero

Gli influencer intervistati parlano poco di politica o economia nei loro contenuti. Si tratta del 12% del totale. Questo, almeno in teoria, dovrebbe ridurre la disinformazione riguardo alle tematiche più sensibili.

Il problema, però, non scompare, anzi.

L’esempio più noto è quello delle recenti elezioni statunitensi, in cui i social media hanno avuto un peso importante nell’influenzare il voto. In un Paese in cui il 40% dei cittadini fra i 18 e i 29 anni si informa in primo luogo sui social, il colore politico dei creator conta. E negli Stati Uniti i cosiddetti news influencer sono soprattutto uomini e conservatori.

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