CEO autentici, AI e neutralità: come cambia la reputazione dei brand

Di il 20 Settembre, 2024
CEO autentici, AI e neutralità: come cambia la reputazione dei brand
Quando i CEO valgono quanto i brand e quando la neutralità vince sull’attivismo. Nel frattempo, l’intelligenza artificiale protegge la reputazione delle aziende

1.Quando i CEO valgono quanto i brand

I CEO stanno abbandonando le loro personalità pubbliche attentamente costruite per adottare un approccio più autentico, nel tentativo di creare relazioni più profonde con gli stakeholder. Si tratta di un cambiamento impattante dato che il personal brand dei CEO ha assunto un’importanza strategica al pari di quella del brand stesso.

Da una ricerca di Weber Shandwick, è emerso che: a livello globale il 45% dei manager associa la reputazione aziendale a quella del CEO; il 44% del valore di mercato delle aziende dipende dalla reputazione del leader stesso.

L’accesso a diversi canali – come i social media, i podcast e i vlog – offre ai CEO nuove opportunità per connettersi con il pubblico su questioni che vanno oltre il business. Ad esempio, i post dei CEO su LinkedIn sono aumentati del 23% rispetto all’anno precedente, e figure come Mark Zuckerberg e Brian Chesky di Airbnb partecipano sempre più a podcast per raccontarsi in modo più personale.

Come osserva Andrew Yeung – ex Facebook e Google – CEO come Elon Musk e Richard Branson ora superano i brand aziendali tradizionali come Coca-Cola e IBM. Di conseguenza, i team di comunicazione lavorano per aiutare i CEO a mostrarsi autentici, ma senza esagerare.

Ma c’è sempre un rischio: i leader che riescono meglio in questo compito sono quelli che hanno una chiara consapevolezza di sé, della loro visione e del loro pubblico di riferimento.

Secondo alcuni esperti di comunicazione, l’era dei CEO “confezionati” e non controversi è finita, soprattutto perché il pubblico più giovane tende a non fidarsi di loro. Quando la personalità di un CEO è ben allienata con l’azienda, come nel caso di Hamdi Ulukaya di Chobani o Ryan Gellert di Patagonia, il brand tende a rafforzarsi.

Infine, le CEO donne o provenienti da comunità poco rappresentate devono essere ancora più strategici nella gestione della loro immagine pubblica, a causa di “doppi standard” che possono influenzare la loro percezione pubblica. È qui che i team di comunicazione devono entrare in gioco per fornire il giusto supporto.

2. L’intelligenza artificiale protegge la reputazione delle aziende

Le aziende che collaborano con gli influencer sui social media cercano sempre più di evitare contenuti politici per proteggere la loro immagine pubblica, specialmente con le elezioni presidenziali americane alle porte. Per raggiungere questo obiettivo, le agenzie di marketing e comunicazione utilizzano strumenti basati sull’intelligenza artificiale per analizzare i post e prevedere se gli influencer affronteranno o meno temi politici. Ad esempio, strumenti come Captiv8 assegnano voti di “sicurezza” ai creator in base ai loro contenuti passati, aiutando i brand a scegliere influencer “sicuri”. Anche Viral Nation ha sviluppato tecnologie in grado di rilevare dettagli potenzialmente controversi nei post, come la presenza di armi o simboli di protesta.

Con l’aumento dell’importanza degli influencer, che secondo le previsioni Goldman Sachs genereranno un’economia da 480 miliardi di dollari entro il 2027, i brand vogliono quindi evitare errori che potrebbero danneggiare significativamente la loro reputazione.

L’attenzione delle aziende per la “sicurezza del marchio” deriva anche da eventi passati, quando brand come Ford e Coca-Cola hanno subito boicottaggi per aver sostenuto involontariamente contenuti discutibili. Tuttavia, è importante sollevare riflessioni etiche su quanto sia opportuno limitare la libertà di espressione degli influencer o attuare una politica di censura preventiva.

3. Oggi la neutralità vince sull’attivismo

Negli ultimi anni, molte realtà americane, dalle università alle aziende, sono state attive nei dibattiti sulla giustizia sociale e politica. Recentemente, questo slancio verso l’attivismo sta rallentando, con un numero crescente di leader che preferisce adottare una posizione di neutralità (vedi punto 1), temendo di alienare parti opposte del dibattito pubblico. Una tendenza che abbiamo visto in particolare nei campus universitari.

Dopo intense proteste legate al conflitto tra Israele e Hamas, alcune università, tra cui Penn, Stanford e Harvard, hanno annunciato politiche di neutralità riguardo alle questioni politiche e globali. Anche le aziende stanno riconsiderando il loro ruolo nell’attivismo sociale. Realtà che in passato hanno sostenuto cause come la giustizia razziale, ora si ritrovano spesso nel mirino delle critiche da entrambi gli schieramenti politici. Un esempio emblematico è Target, criticata sia per la sua esposizione di prodotti LGBTQ sia per averne ritirato alcuni dopo le proteste dei gruppi conservatori.

Secondo recenti sondaggi, inoltre, il numero di consumatori che ritiene che le aziende debbano prendere posizione è diminuito, passando dal 48% nel 2021 al 41% nel 2023. Uno scenario che riflette una crescente difficoltà per istituzioni e aziende di navigare in un ambiente sempre più polarizzato, in cui ogni dichiarazione rischia di suscitare reazioni avverse.

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