È stato lo stesso Mark Zuckerberg ad ammettere che la scelta di Meta di chiudere il suo programma di fact-checking avrà delle ripercussioni negative importanti. “La realtà è che si tratta di un compromesso. Saremo in grado di intercettare meno contenuti negativi, ma allo stesso tempo ridurremo la quantità di post e account che limitiamo per errore”, ha detto.
La motivazione principale dietro la sua scelta, sostiene Zuckerberg, è ripristinare la libertà di espressione, minacciata, secondo lui, da una tendenza alla censura diffusa a livello globale. L’unico modo per farlo, sottolinea, è “con il supporto del governo degli Stati Uniti”.
Nel suo messaggio, l’amministratore delegato di Meta inverte il rapporto causa-effetto che ha portato alla decisione del gruppo. L’imminente nuova amministrazione a Washington ha sì giocato un ruolo centrale nella vicenda, ma a priori. Donald Trump non è il mezzo attraverso cui concretizzare questa svolta, ne è stato invece la causa.
Lo ha affermato lo stesso Trump ieri in conferenza stampa. Un giornalista gli ha chiesto se la decisione di Meta fosse derivata dalle sue minacce a Zuckerberg e la risposta è stata: “Probabilmente sì”.
I social di Meta quasi come X
I cambiamenti che Meta metterà in atto sulle sue piattaforme sono elencati nell’articolo che segue il video introduttivo di Zuckerberg. La firma, non a caso, è di Joel Kaplan, nuovo capo per gli affari globali della piattaforma e figura di spicco nel mondo repubblicano americano – una delle tante nominate dal gruppo negli ultimi tempi.
La novità più importante è la chiusura del programma di fact-checking affidato a organizzazioni indipendenti, che lascerà il posto a un nuovo piano basato sulle segnalazioni degli utenti, le community note in stile X.
A partire dal 2016, Meta aveva iniziato ad assegnare le funzioni di fact-checking a circa 90 organizzazioni giornalistiche indipendenti, come Reuters Fact Check, Australian Associated Press, Agence France-Press e PolitiFact. In Italia, dal 2018, se ne occupa Facta news, società che controlla l’affidabilità delle notizie per Pagella Politica.
L’accusa di Zuckerberg a questo programma è che sia andato oltre il suo scopo originario, finendo per limitare o eliminare contenuti non dannosi, trasformandosi in censura.
Angie Drobnic Holan, a capo dell’organizzazione International Fact-Checking Network, ha criticato questa tesi, sostenendo che “il fact-checking non ha mai censurato o rimosso contenuti, ma ha aggiunto informazioni e contesto a dichiarazioni controverse e ha smentito contenuti ingannevoli e teorie del complotto”.
I fatti confermano la versione di Holan, sottolinea The Conversation. Nessuna censura: il programma di fact-checking di Meta ha aiutato a frenare la disinformazione su Facebook e Instagram.
Ne è una dimostrazione il caso dei contenuti relativi al Covid, quando Facebook è intervenuto riuscendo a limitare post falsi che mettevano in dubbio l’efficacia dei vaccini.
L’effetto positivo è stato doppio, dato che, sottolinea uno studio pubblicato su PubMed e citato da The Conversation, l’operazione di fact-checking nel corso dei mesi ha contribuito a diminuire l’incertezza e accrescere la fiducia degli utenti del social media nei confronti del vaccino stesso.
Occorre poi specificare che le operazioni di fact-checking di Facebook e Instagram non riguardavano determinati tipi di contenuti, esclusi dal monitoraggio. Fra questi, le opinioni, anche controverse, pubblicate sulle pagine di personaggi pubblici, centri di ricerca, Ong e aziende e, soprattutto, i post di personaggi politici.
Non solo. Secondo il Financial Times, oltre a queste eccezioni, Meta avrebbe esentato dal controllo sulla moderazione dei contenuti anche alcuni dei suoi principali inserzionisti. I social media del gruppo di Zuckerberg, spiega il quotidiano londinese, avrebbero evitato di applicare in maniera scrupolosa le regole in questione per salvaguardare dal rischio di restrizioni erronee il ristretto gruppo di aziende che spendono di più in pubblicità.
Il giornalista Casey Newton su Platformer evidenzia inoltre che, tra i temi sui quali Meta allenterà le restrizioni, Zuckerberg menziona in modo esplicito le critiche rivolte a immigrati e le questioni legate all’identità di genere come ambiti sui quali offrire più libertà. Argomenti sui quali Donald Trump ha costruito la sua seconda campagna elettorale.
Il sistema di controllo automatizzato delle piattaforme si focalizzerà sui contenuti pericolosi inerenti a droga e terrorismo, mentre le violazioni di minore entità saranno esaminate solo su segnalazione degli utenti – in altri termini, non si procederà più d’ufficio alla verifica di potenziali contenuti considerati poco dannosi.
Allo stesso tempo, Facebook, Instagram e Threads torneranno a dare più spazio ai cosiddetti civic content, ossia i contenuti che discutono di attualità e politica. Il tutto in un momento in cui, come certificato dalle numerose elezioni tenute nel 2024, il vento soffia forte a destra.
L’ultimo tassello della strategia di Zuckerberg per abbattere il pregiudizio secondo cui Meta sarebbe un’azienda vicina al mondo liberale statunitense è lo spostamento del dipartimento che si occupa della moderazione dei contenuti dalla democratica California al repubblicano Texas.
Da un capo all’altro
Nel video in cui annuncia le novità di Facebook, Instagram e Threads, Zuckerberg si presenta con i capelli più lunghi, una maglietta larga e una collana dorata al collo. Sono lontani i tempi in cui, in giacca e cravatta davanti al Congresso, era in difficoltà a rispondere alle domande.
Così come ha modificato le politiche dei social media di Meta sul controllo della disinformazione, Zuckerberg ha cambiato il suo atteggiamento nei confronti delle critiche rivolte alle sue aziende.
Nel 2016, Facebook è stato accusato di aver lasciato migliaia di account diffondere disinformazione, favorendo la vittoria di Trump. In risposta, Meta ha lanciato il suo programma di fact-checking esterno.
Dopo un parziale passo indietro – almeno a parole – in un discorso alla Georgetown University nel 2019, dove Zuckerberg difendeva la libertà di espressione come vero motivo dietro alla nascita di Facebook, nel 2021 Meta è stata di nuovo incolpata per aver permesso a diversi sostenitori della rivolta del 6 gennaio di diffondere contenuti violenti.
A quel punto, Facebook e Instagram sono arrivate a sospendere gli account di Trump.
Quel continuo bisogno di giustificazione che sembrava influenzare le scelte di Zuckerberg, almeno negli atteggiamenti, sembra scomparso, scrive il New York Times. L’ad di Meta avrebbe detto ai dirigenti della compagnia di non avere mai accettato fino in fondo il piano di fact-checking indipendente e che ora è finalmente a suo agio con le strategie del gruppo.
Per giustificare le sue precedenti scelte, come le restrizioni dei contenuti falsi sulla pandemia e i vaccini, Zuckerberg ha citato, in una lettera indirizzata al Senato degli Stati Uniti, le pressioni ricevute dall’amministrazione di Joe Biden nel 2021.
Il giornalista del New York Times Mike Isaac ha scritto che i continui riposizionamenti di Meta sono chiare scelte di convenienza politica.
Zuckerberg va dove lo porta il vento delle elezioni, afferma Isaac, e le sue dichiarazioni di voler riportare Meta “alle sue radici” saranno valide fino al 2028. L’esito delle prossime elezioni statunitensi contribuirà a decidere se continuare su questa strada o cambiarla di nuovo.
Le conseguenze per Threads e TikTok
Come ricorda Newton, Trump, soddisfatto del cambio di direzione di Zuckerberg, valuterà ora se chiudere il caso sollevato dall’antitrust americano che contesta l’acquisizione di Instagram e Whatsapp da parte di Meta. La procedura va avanti dal 2020.
Nel frattempo, però, le nuove politiche di Meta potrebbero avere degli effetti sulla piattaforma più recente del gruppo, Threads.
Nonostante l’approccio centralizzato, a differenza di quello di Bluesky, anche Threads era nata per offrire agli utenti un maggiore controllo su cosa vedere e promuovere contenuti più moderati e adatti a generare dibattiti meno polarizzati. Si vedrà nei prossimi mesi se e come le scelte di Zuckerberg impatteranno sulla piattaforma.
Resta infine la questione legata alla chiusura della divisione statunitense di TikTok, nel caso in cui la proprietaria ByteDance non la cedesse a una società statunitense entro il 20 gennaio.
Trump si è rivolto ai giudici della Corte Suprema, chiedendo di sospendere l’applicazione della legge che prevede il divieto della piattaforma negli Stati Uniti, dopo aver fatto capire di avere a cuore la questione.
Uno dei motivi per salvare TikTok, aveva dichiarato il presidente eletto, era impedire a Facebook di guadagnare un’importante fetta di mercato a seguito del ban del social media cinese.
Ma sono lontani i tempi in cui Trump considerava Facebook “nemico del popolo”. Fra un paio di mesi anche i social media di Meta potranno entrare nelle sue grazie. Più difficile capire se a fare le spese di questo nuovo amore potrebbe essere proprio TikTok.