Media politics. In memoria di Giovanni Arrighi, studioso dei cicli dell’egemonia, tra Adam Smith e Pechino 

Di il 19 Maggio, 2024
Il 18 giugno di quindici anni fa moriva a Baltimora Giovanni Arrighi, economista e sociologo eterodosso, bocconiano anomalo, appartenente a una tradizione intellettuale contaminata da Joseph Schumpeter

Il 18 giugno di quindici anni fa moriva a Baltimora Giovanni Arrighi, economista e sociologo eterodosso, bocconiano anomalo, appartenente a una tradizione intellettuale contaminata da Joseph Schumpeter, Thorstein Veblen e, soprattutto, Fernand Braudel, che in Civiltà materiale, economia e capitalismo ha ricostruito induttivamente quattro secoli di storia economica, studiando la società nel particolare delle sue infrastrutture, dotazioni fisiche e istituzioni sociali.

Arrighi si appoggiò fruttuosamente a questa tradizione e creò una scuola di pensiero: la sua figura rimane una tra le più interessanti nel panorama degli studiosi che hanno analizzato le tendenze macroeconomiche utilizzando criteri multidisciplinari, nel suo caso ricorrendo, oltre all’analisi storica, all’antropologia sociale.

Cominciò ad adottare questa metodologia durante l’esperienza in Rhodesia negli anni ’60, quando svolse ricerche sul campo relative alle modalità di sviluppo del mercato locale (lo racconta a David Harvey in una bella intervista pubblicata in Capitalismo e (dis)ordine mondiale, di manifestolibri, curato da Giorgio Cesarale e Mario Pianta). 

Dopo il trasferimento negli Stati Uniti, contribuì a consolidare il cosiddetto “approccio sistemico”, insieme a Andre Gunder Frank, Immanuel Wallerstein e Terence Hopkins, arrivando infine ad elaborare una teoria sullo sviluppo del capitalismo legata, appunto, alla teoria dei cicli di Braudel. 

Nel Il lungo XX secolo, Arrighi evidenzia infatti come il capitalismo non inizi con la rivoluzione industriale nel diciottesimo secolo ma la sua origine può essere anticipata molto prima, alla fine del Medioevo,  e cerca di dimostrare che la sua evoluzione è caratterizzata da cicli egemonici, che vedono prima una fase di espansione materiale la quale, una volta esauritasi a causa della crescita dei salari e della concorrenza intercapitalistica, lascia il posto alla fase di espansione finanziaria: quest’ultima annuncia però la chiusura del vecchio ciclo per lasciare il passo al nuovo, governato da una altrettanto nuova potenza egemone.  

Arrighi individua così quattro cicli egemonici: 1) il ciclo genovese – iberico, dal quindicesimo secolo agli inizi del diciassettesimo; 2) il ciclo olandese, dalla fine del sedicesimo secolo alla metà del diciottesimo, 3) il ciclo britannico, dalla seconda metà del diciottesimo secolo fino agli inizi del ventesimo 4) il ciclo statunitense, dalla fine del diciannovesimo secolo fino a oggi. 

Il lungo XX secolo è del 1996 e Arrighi non vi esplicita chi sarà il nuovo egemone, ma un anno prima di morire pubblicherà Adam Smith a Pechino, nel quale sostiene che il partito comunista cinese, rigettando il “Washington Consensus”, abbia sapientemente combinato meccanismi concorrenziali e governance centralizzata, aprendo la strada alla previsione di Adam Smith: un riequilibrio dei rapporti di forza tra l’Occidente e il resto del mondo, e la nascita di un commonwealth delle diverse culture.  

Devi essere loggato per lasciare un commento.
/ Published posts: 29

Alberto Paletta si occupa di comunicazione e relazioni istituzionali presso un gruppo finanziario. Pur attratto dalla politica attiva, preferisce dedicarsi a quella contemplativa. Milanese d'adozione e di elezione, un po' come Stendhal.