
Alla Casa Bianca c’è una squadra di esperti di nuovi media, ma non se ne conoscono i nomi per loro volontà.
Il loro compito è invece molto chiaro: devono reagire con immediatezza a tutte le accuse rivolte al presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.
Anche il modo in cui rispondono è ben definito, cioè attaccando a loro volta e presentando la propria versione dei fatti, con l’obiettivo di raggiungere un numero ben più elevato di visualizzazioni.
All’attivo ci sono 200 milioni di budget per le sponsorizzazioni sui social, dentro una precisa strategia di marketing politico.
Contrattacchi
Attrici e cantanti note come Selena Gomez – con 421 milioni su Instagram – e Hunter Schafer hanno usato la loro popolarità per denunciare alcuni degli ordini esecutivi di Trump, legati alle politiche di immigrazione e quelle identitarie per le persone transgender.
Lo staff della Casa Bianca conta tra le sue cartucce numerosi influencer, ma in realtà a essere decisivo è il gruppo di persone che prontamente rispondono alle possibili shitstorm, cioè le bufere che esplodono sui social per poi di solito sgonfiarsi dopo qualche polemica.
In realtà, la strategia non è quella di rispondere schierando sulla scacchiera altri influencer.
Esiste per questa finalità un account chiamato Rapid Response 47, a livello ufficiale con il compito di supportare l’agenda “America First” e combattere le notizie false.
In circa 24 ore, l’account può arrivare a pubblicare o retwittare almeno 60 post.

Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca durante la seconda amministrazione Trump. Foto: Flickr.
Parole chiave
Ferocia, velocità e prontezza sono i connotati principali di questa comunicazione, che mira ad aumentare l’asticella della viralità.
Se Gomez gira un video in lacrime, la Casa Bianca risponde con un video Asmr, che riprende un momento di “deportazione di immigrati illegali”, come titolato.
È una modalità basata su una tendenza di video su YouTube che usano la “risposta sensoriale meridiana autonoma” – Asmr, appunto -, attraverso suoni che stimolano una sensazione di rilassatezza.
In altri casi, l’account Rapid Reponse 47 ha risposto liquidando le critiche degli oppositori democratici, sfruttando i topoi tipici del linguaggio social come quello della velocità.
Kaelan Dorr, che guida il team digitale, ha dichiarato che l’unica risposta contemplata agli attacchi è cruda e violenta e ovviamente virale.
https://t.co/266ck0MSwX pic.twitter.com/ZncFMpqlML
— Rapid Response 47 (@RapidResponse47) March 5, 2025
Comunicazione prima
Come ribadito da Steven Cheung, direttore della comunicazione della Casa Bianca, l’obiettivo è avere un “predominio totale”, occupando ogni angolo di Internet.
Questo si comprende sia nell’ottica della campagna elettorale permanente, teorizzata da Sidney Blumenthal già nel 1980 e proprio per descrivere gli Stati Uniti.
Nel caso di Trump, la motivazione è ancora più sottile.
Infatti, come è nello stile comunicativo trumpiano, i post pubblicati sull’account White House e ripostati dal Rapid Response spesso anticipano degli atti esecutivi.
Tecnicamente, come sostenuto da David Allegranti, sono assimilabili ad atti performativi: quando Trump parla, di solito poi agisce.
La comunicazione arriva prima ancora della politica.
Le criticità di questa modalità di azione sono tante.
Innanzitutto, si confondono i ruoli: il podcaster Dan Bongino ha acquisito delle funzioni pubbliche in quanto membro dello staff del presidente, mentre Sage Steele, dopo aver innescato il dibattito sull’identità transgender, ha accelerato il processo di firma dell’ordine esecutivo su questo tema.
Infine, la “memestetica”, come scrive Valentina Tanni, nasce accedendo alla distribuzione aggirando i canali ufficiali, sia dell’arte visuale sia dei media tradizionali.
Se sono invece le istituzioni a cominciare a usare i meme per comunicare, il rischio non è più la censura, ma la creazione di una distopia, di un mondo al contrario, di un’alternativa irreale ma perfettamente credibile.