
L’intelligenza artificiale non è più una mera proiezione futuristica, confinata al mondo della fantascienza o agli ambiti iperspecialistici della ricerca. Al contrario, essa è oggi una tecnologia pervasiva, che attraversa in modo trasversale ogni sfera dell’agire umano, modificando in profondità le logiche del lavoro, della comunicazione, della produzione di conoscenza e delle relazioni sociali.
Questo contributo nasce dalla convinzione che, per affrontare con consapevolezza questa trasformazione epocale, non siano utili né visioni apocalittiche né forme di entusiasmo acritico.
Quello di cui abbiamo urgente bisogno è invece una comprensione profonda dei meccanismi, delle potenzialità e dei limiti dell’IA, fondata su una solida base culturale e pedagogica.
Il mio sguardo su questa disciplina rimane fiducioso e positivo.

Immagine: Canva.
Cosa manca
Va però evidenziata una preoccupazione crescente: la mancanza di alfabetizzazione diffusa sui temi dell’IA, tanto all’interno delle istituzioni scolastiche e formative, quanto nelle aziende, nei contesti professionali e nella cittadinanza in generale.
Sebbene il discorso pubblico sembri ormai saturo di riferimenti all’intelligenza artificiale – dai convegni agli articoli scientifici, dai social media ai programmi scolastici – in realtà la maggior parte delle persone non possiede gli strumenti concettuali e critici per affrontare in maniera autonoma e informata la sua crescente presenza nella vita quotidiana.
È necessario, pertanto, compiere insieme un passaggio decisivo: dalla sorpresa alla consapevolezza.
Nel dibattito pubblico, chi opera quotidianamente nel campo dell’IA viene talvolta percepito come un moderno alchimista, detentore di saperi arcani e poteri predittivi.
Ma quello che ha reso possibile questa rapida evoluzione non è magia: è il frutto di decenni di ricerca scientifica, di sperimentazione algoritmica, di progressi nell’ambito della statistica, della matematica applicata, della potenza computazionale e della disponibilità di dati su larga scala.
Gli algoritmi che oggi animano i sistemi di machine learning e deep learning sono strumenti estremamente sofisticati, ma sono, prima di tutto, creazioni umane, frutto di intelligenza, intuizione e collaborazione interdisciplinare.
Siamo oggi in una fase di maturità tecnologica dell’intelligenza artificiale.
Le sue applicazioni sono ormai presenti in settori cruciali: dalla medicina all’economia, dalla giustizia alla sostenibilità ambientale, fino all’ambito educativo, dove lA si configura come una risorsa strategica per il rinnovamento dei paradigmi didattici.
Tuttavia, per utilizzarla in modo etico ed efficace, occorre comprenderne i presupposti, riconoscerne i vincoli strutturali e smascherare le false credenze.
Non esistono sistemi in grado di apprendere autonomamente senza input umani, né IA capaci di generare conoscenza ex novo senza supervisione.
I modelli generativi – come quelli alla base della generative AI – sono strumenti predittivi e sintetici, non entità autonome né tantomeno coscienti.
È proprio da qui che dovrebbe partire ogni percorso educativo sull’intelligenza artificiale: dalla costruzione di una cultura del limite, che non sia deterrente, bensì occasione per sviluppare senso critico, cittadinanza digitale e consapevolezza tecnica.
In tal senso, il ruolo della scuola e della formazione – in ogni ordine e grado – è decisivo.
Occorre inserire in modo strutturato momenti di riflessione e attività di laboratorio che introducano le basi del funzionamento dei modelli IA, i concetti chiave dell’apprendimento automatico, le implicazioni etiche e giuridiche, nonché le opportunità offerte alla didattica, alla personalizzazione degli apprendimenti, al sostegno all’inclusione.

Foto: Canva.
Didattica su misura
Una delle aree più promettenti dell’applicazione dell’IA in ambito educativo è rappresentata dalla possibilità di personalizzare i percorsi di apprendimento in funzione dei bisogni, degli stili cognitivi, dei tempi e degli interessi di ciascun discente.
I sistemi adattivi basati su IA consentono, ad esempio, di modulare i contenuti in base al livello di competenza dell’alunno, di fornire feedback immediati e personalizzati, e di suggerire strategie alternative in presenza di difficoltà.
Questo approccio – noto come adaptive learning – è particolarmente rilevante in contesti educativi complessi e differenziati, come quelli caratterizzati da eterogeneità culturale, disabilità, disturbi specifici dell’apprendimento o svantaggio socio-economico.
L’IA può, dunque, costituire uno strumento abilitante per l’inclusione, se inserita all’interno di una cornice pedagogica e valoriale ben definita.
Non si tratta di automatizzare la relazione educativa, ma di potenziare la capacità del docente di rispondere in modo mirato ai bisogni individuali, alleggerendo il carico gestionale e restituendo tempo e risorse per la relazione umana e la cura dei percorsi personalizzati.
Inoltre, attraverso l’analisi dei dati – learning analytics, è possibile identificare precocemente segnali di difficoltà, abbandono o demotivazione, intervenendo in modo tempestivo con azioni correttive e supporti dedicati.
Tuttavia, questa promessa di una scuola più equa e centrata sulla persona non può realizzarsi senza una profonda revisione dei modelli organizzativi e formativi oggi in uso.
Serve un investimento sistemico nella formazione dei docenti, affinché sviluppino competenze digitali avanzate e capacità critiche nell’uso delle tecnologie.
Occorre, inoltre, un coinvolgimento attivo delle comunità scolastiche, affinché la trasformazione digitale non sia imposta dall’alto, ma costruita collettivamente, nel rispetto delle identità, delle autonomie e delle specificità di ciascun contesto educativo.

Foto: Pexels.
Nuova alleanza pedagogica
Uno degli aspetti più stimolanti introdotti dalla diffusione dell’intelligenza artificiale – e in particolare dei Large Language Models come ChatGpt – è la valorizzazione di nuove pratiche cognitive.
Il mestiere del futuro non sarà solo quello di “rispondere”, ma soprattutto quello di porre le giuste domande: ciò che in letteratura scientifica viene definito “prompt engineering”.
Questo spostamento epistemologico riporta al centro del processo educativo alcune competenze trasversali da sempre centrali: la riflessione, la curiosità, il pensiero critico, la capacità di analizzare e sintetizzare, di progettare e sperimentare.
Ciò che si profila, dunque, è una nuova alleanza tra l’intelligenza umana e quella artificiale, dove l’obiettivo non è la sostituzione, ma il potenziamento reciproco.
Gli strumenti basati su IA possono aiutare a liberare tempo e risorse mentali da compiti ripetitivi e amministrativi, per dedicarsi a quelle attività in cui la nostra umanità – intesa come empatia, giudizio etico, immaginazione – è insostituibile.
Relazioni educative autentiche, orientamento personalizzato, accompagnamento nei momenti critici della crescita: sono questi i territori in cui la tecnologia deve arretrare, per lasciare spazio alla persona.
Etica della responsabilità nel futuro della formazione
Si può quindi affermare la centralità dell’etica della responsabilità nell’uso dell’intelligenza artificiale in ambito educativo.
La regolazione di queste tecnologie, la tutela della privacy degli studenti, il controllo dei bias algoritmici, la trasparenza delle logiche di funzionamento sono questioni cruciali che richiedono un’azione normativa, culturale e pedagogica coordinata.
L’IA non è neutra: riflette i valori, le intenzionalità e le lacune di chi la progetta.
Per questo è essenziale che ogni innovazione venga accompagnata da un pensiero critico, da una riflessione collettiva sulle finalità dell’educazione e sul ruolo che vogliamo affidare alla tecnologia nella nostra società.
In questa prospettiva educativa, è fondamentale intraprendere un viaggio, un itinerario fatto di apprendimento, riflessione e scoperta, attraverso cui costruire – insieme – un nuovo patto formativo tra intelligenze naturali e artificiali, al servizio di una scuola più giusta, più aperta, più umana.