
La prima a essere espulsa da Taiwan è stata l’influencer Zhao Chan – in arte Xiaowei, moglie di un cittadino taiwanese e madre di tre figli. Poi c’è stato il caso di Liu Zhenya, che postava video della figlia mentre cantava canzoni patriottiche cinesi di fronte a edifici iconici di Taipei. Liu, così come un terza creator, Zhang Yan, non hanno voluto darla vinta a Taiwan e se ne sono andate prima di essere espulse.
Queste tre influencer, si legge sull’Economist, hanno in comune la volontà di “riunificare la madrepatria”, un termine coniato dal governo cinese.
Una volontà che implica riportare Taiwan sotto il controllo di Pechino.
La crisi di Taiwan
Alcuni definiscono Taiwan come una “polveriera”, dato che la sua crisi rappresenta uno dei punti geopolitici più complessi e rilevanti del XXI secolo.
Lungi dall’essere una semplice disputa regionale, lo status di Taiwan costituisce un elemento centrale nella competizione strategica tra Stati Uniti e Cina, con implicazioni dirette non solo per le alleanze militari ma anche per la stabilità economica e l’ordine internazionale.
“La riunificazione della madrepatria è una inevitabilità storica”, ha dichiarato il presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping nel discorso di Capodanno dello scorso anno, ribattendo la narrativa da lui sempre sostenuta.

Xi Jinping, presidente della Repubblica Popolare Cinese dal 2013. Foto: Flickr.
Taiwan occupa una posizione cruciale come crocevia degli interessi militari di Stati Uniti e Cina.
Nell’attuale status quo, permette agli Stati Uniti di ancorare le proprie alleanze nell’Indo-Pacifico, in una catena che si estende dal Giappone alle Filippine e che contiene le forze militari cinesi.
Ma funge anche da “cuscinetto difensivo”, impedendo alla Cina di espandere il proprio potere navale e aerospaziale in profondità nel Pacifico: scenario che minaccerebbe l’influenza statunitense e destabilizzerebbe la regione.
Con Taiwan fuori dalla portata cinese, le capacità di proiezione militare di Pechino restano, quindi, limitate.
Le tre influencer
Zhao Chan – Xiaowei – è sposata con un cittadino taiwanese e ha tre figli.
Sulla piattaforma social cinese Douyin pubblicava contenuti a favore della riunificazione tra Taiwan e la Cina. Ragione per la quale è stata espulsa dal Paese dell’Asia orientale.

Uno screenshot del social cinese Douyin.
Secondo quanto si legge sull’Economist, in aeroporto, di fronte ai giornalisti, avrebbe detto: “Amo il partito e amo il mio paese. Ho fatto qualcosa di sbagliato?”
Lo YouTuber Pa Chiung e il rapper Chen Po-yuan, personaggi pubblici molto noti per i loro video anti-Partito Comunista Cinese, avrebbero reagito così alla notizia dell’espulsione: “Buon viaggio Xiaowei. Non tornare mai più”.
Poi è stata la volta di Liu Zhenya – in arte Yaya a Taiwan, anche lei moglie di un taiwanese.
La creator condivideva filmati della figlia che cantava canzoni patriottiche cinesi di fronte a edifici iconici di Taipei.

Uno screenshot del profilo Yaya a Taiwan.
Liu, così come l’influencer Zhang Yan – conosciuta come Enqi, anche lei sposata con un taiwanese, se ne sono andate prima che i militari venissero a prenderle.
Senza ritorno
L’agenzia nazionale per l’immigrazione di Taiwan ha deciso il mese scorso che i contenuti postati online dalle tre influencer “sostengono l’aggressione militare” e “promuovono l’eliminazione della sovranità della nostra nazione”.
Così, ha deciso di revocare i permessi di soggiorno delle tre donne costringendole a lasciare il Paese entro dieci giorni.
Liu ha fatto ricorso, sostenendo che il governo di Taiwan non avesse potuto separarla dal marito e dai figli.
Intanto, le vicende hanno scatenato un dibattito sulla libertà di parola a Taiwan: alcuni sostengono che il governo abbia esagerato.
Se una di queste influencer stesse, effettivamente, aiutando le forze armate cinesi ad attaccare o infiltrarsi a Taiwan, questo rappresenterebbe una minaccia per la sicurezza secondo Bruce Liao, professore di legge alla National Chengchi University, citato dall’Economist: “Ma se ne sta solo parlando, allora non importa quanto sia disgustoso, è pur sempre solo un discorso”.