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Pezzo dopo pezzo, Jeff Bezos sta smontando l’identità del Washington Post, uno dei quotidiani più importanti al mondo e con una storia gloriosa, dalla pubblicazione dei Pentagon Papers alle inchieste sullo scandalo Watergate. L’ultima decisione del proprietario è di ripensare la famosa sezione Opinioni del quotidiano: d’ora in poi, in ambito economico, ospiterà soltanto editoriali e commenti che sostengono le “libertà personali” e il “libero mercato”.
I shared this note with the Washington Post team this morning:
I’m writing to let you know about a change coming to our opinion pages.
We are going to be writing every day in support and defense of two pillars: personal liberties and free markets. We’ll cover other topics too…
— Jeff Bezos (@JeffBezos) February 26, 2025
Non è stato sempre così.
Quando, nel 2013, il fondatore di Amazon ha speso 250 milioni di dollari per acquistare il quotidiano – per 80 anni in mano alla famiglia Graham -, ha dichiarato di non voler influenzare la linea editoriale.
Così è stato, almeno per un primo periodo.
Il Washington Post ha mantenuto la sua identità – vicina alle posizioni liberal di centro-sinistra – durante la prima presidenza di Donald Trump, criticando aspramente l’operato del presidente.
Di conseguenza, Trump ha fatto di Bezos uno dei suoi nemici pubblici, dichiarando che il Washington Post era diventato un megafono per sostenere gli interessi del suo proprietario e arrivando a vendicarsi togliendo ad Amazon un contratto da dieci miliardi dollari per lo sviluppo di un progetto – poi mai realizzato – di cloud computing con il Dipartimento della Difesa.
Quando però i sondaggi hanno iniziato a intravedere il ritorno del magnate alla Casa Bianca, Bezos ha cambiato atteggiamento nei confronti dell’attuale presidente.
Lo ha fatto, così come Mark Zuckerberg e altri amministratori delegati, in maniera plateale.
E quale miglior strumento per mostrare la sua nuova vicinanza al governo di uno dei giornali più importanti al mondo.
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Foto: Flickr.
Opinioni obbligate
Con un post pubblicato ieri, 26 febbraio, su X, Bezos ha annunciato il processo di trasformazione che coinvolgerà la sezione Opinioni del Washington Post, dopo aver informato la redazione via email.
“Ogni giorno scriveremo in sostegno e in difesa di due pilastri: le libertà personali e il libero mercato”, ha scritto il proprietario del giornale. “Ci occuperemo anche di altri temi, ma le opinioni contrarie a questi temi saranno lasciate ad altre testate”.
Sono temi sui quali il fondatore di Amazon punta per riallacciare i rapporti con Trump.
Lo scorso dicembre, in un’intervista con Andrew Ross Sorkin del New York Times, Bezos aveva infatti detto di voler aiutare il presidente a “ridurre la burocrazia”, poiché “in questo Paese abbiamo davvero troppa regolamentazione”.
Secondo l’imprenditore, infatti, le libertà individuali e l’economia di mercato sono valori “poco rappresentati nell’attuale panorama delle idee e delle opinioni dei media”.
Un parere condiviso dal Wall Street Journal che, in un commento a firma della redazione, ha sottolineato come, a eccezione di se stessa, le altre più importanti testate – New York Times, Financial Times, Bloomberg, Politico e Axios – abbiano tradizionalmente abbracciato posizioni di interventismo statale in economia.
Il quotidiano conservatore ha poi ricordato l’importanza di un cambiamento simile per un giornale da sempre posizionato su ideologie di centro sinistra, in cui l’unica firma con idee conservatrici è l’editorialista George Will.
Tuttavia, a differenza dello stesso Wall Street Journal, che ha storicamente seguito una linea editoriale coerente e ha dunque mantenuto la sua identità, il Washington Post quell’identità la sta perdendo e non per volere dei suoi giornalisti.
E infatti, quando Bezos ha offerto a David Shipley, caporedattore responsabile della sezione, di coordinare questa transizione, Shipley ha rifiutato e si è dimesso.
Conseguenze prevedibili
Martin Baron, direttore del Washington Post dal 2012 al 2021, ha detto di essere “triste e disgustato” dal modo in cui Bezos ha tradito le sue promesse di non intromettersi nella linea editoriale del quotidiano.
Secondo l’editorialista del Guardian ed ex giornalista del Washington Post, Margaret Sullivan, gli abbonati della testata sono ben informati e, nonostante abbiano idee politiche diverse fra loro, ne hanno sempre riconosciuto l’indipendenza dalla politica.
Quanto deciso da Bezos, scrive Sullivan, potrebbe portare a un’altra massiccia perdita di abbonamenti, la seconda dopo quella arrivata a ottobre, quando il proprietario ha deciso di vietare il tradizionale endorsement a un candidato alle elezioni presidenziali, in quel caso Kamala Harris.
In pochi giorni, circa 300mila iscritti avevano disdetto il proprio abbonamento al giornale.
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La sede del Washington Post. Foto: Flickr.
Veloce e doloroso
Lo stravolgimento delle opinioni è l’ultimo di una lunga serie di cambiamenti che stanno minando alla base i principi per cui il Washington Post è conosciuto.
Senza troppi giri di parole, l’editorialista di Repubblica ed ex vicedirettrice della Stampa, Annalisa Cuzzocrea, ha scritto che “il tempo di Democracy dies in darkness è finito”, richiamando il celebre motto del quotidiano americano – anch’esso cambiato e sostituito dalla nuova missione di creare una “narrazione vincente per tutta l’America”.
In poco più di un anno, Bezos e l’amministratore delegato da lui nominato, William Lewis – in passato Ad di Dow Jones e publisher del Wall Street Journal – hanno sconvolto gli equilibri interni nella redazione.
Un lungo elenco di personalità di spicco e firme rilevanti hanno lasciato il quotidiano lo scorso anno. Fra queste, l’ex direttrice Sally Buzbee, la caporedattrice e candidata interna alla direzione Matea Gold, l’editorialista politica Leigh Ann Caldwell e la vignettista vincitrice del premio Pulitzer, Ann Telnaes.
A cartoonist shows the way for courage and principle, while a major newspaper tramples on freedom of expression and humiliates itself in the process: @AnnTelnaes leaves the @washingtonpost after the rejection of a cartoon showing @JeffBezos kowtowing to Trump. 👇 pic.twitter.com/QjWHOUFpiC
— Chappatte Cartoons (@PatChappatte) January 4, 2025
Altri recenti episodi che mostrano il cambio di rotta imposto dall’alto sono stati la decisione dell’attuale direttore, Matt Murray, e dell’Ad Willis di censurare la notizia del passaggio di Gold al New York Times e la scelta di non pubblicare una pubblicità critica nei confronti di Elon Musk sulla versione cartacea del giornale.
Vari indizi che sembrano andare tutti nella stessa direzione, che Cuzzocrea ha sintetizzato in modo tanto drastico quanto efficace: “ci siamo giocati il Washington Post“, almeno per ora. Perché una proprietà, anche se risponde al nome di Bezos, non è per sempre.