L’inserimento del Codice di buone pratiche sulla disinformazione all’interno della normativa europea sui servizi digitali, il Digital service act, sta provocando la fuoriuscita delle big tech dai programmi di fact-checking indipendente. Ora, anche LinkedIn si è aggiunta alla lista.
Le decisioni delle aziende si sono susseguite nelle scorse settimane.
Dopo la decisione di Mark Zuckerberg di sostituire negli Stati Uniti l’attuale programma di moderazione dei contenuti con il sistema delle segnalazioni degli utenti simile a quello di X, è stata la volta di Google.
Tuttavia, Zuckerberg per ora ha deciso di lasciare intatti i programmi di fact-checking fuori dai confini statunitensi.
L’amministratore delegato di Meta comunque criticato l’approccio dell’Unione Europea nel video in cui annuncia i cambiamenti nelle politiche di controllo dei contenuti falsi.
“In Europa ci sono sempre più leggi e stanno istituzionalizzando la censura”, aveva detto.
La decisione di LinkedIn, confermata da un comunicato dell’organizzazione European Fact-Checking Standards Network, è passata in sordina rispetto alle mosse di Meta e Google.
Così come Google e YouTube, si legge, anche LinkedIn ha ufficializzato “il completo ritiro dal capitolo dedicato al fact-checking”. Una scelta che “desta preoccupazione”.
Il comunicato afferma che “Google, YouTube e LinkedIn si erano impegnati a consentire il fact-checking nei loro servizi già dal momento della firma del Codice nel 2022”.
Ora, invece, le piattaforme hanno deciso di “non collaborare più con i fact-checker, negando ai propri utenti la possibilità di accedere a informazioni affidabili”.
La rivista Engage sottolinea tuttavia che, a differenza di LinkedIn, Google aveva evitato di adottare servizi di fact-checking nei suoi risultati di ricerca e su YouTube.
Per questo motivo, la scelta del social media di proprietà di Microsoft rappresenta il cambio di rotta più significativo.
Google saluta
Già al momento della sua introduzione, nel 2022, Google si era infatti rifiutato di approvare alcune parti della sezione del Codice di buone pratiche riguardanti proprio il fact-checking.
Il Codice contiene 128 misure per contrastare la disinformazione online. È stato inizialmente firmato come dichiarazione volontaria dalle maggiori aziende tecnologiche e finora non è stato vincolante.
Quando poi, lo scorso luglio, il Comitato per i servizi digitali della Commissione europea ha proposto di convertire il Codice di buone pratiche in un Codice di condotta all’interno del Dsa, il gruppo guidato da Sundar Pichai si è rifatto vivo.
In una lettera indirizzata alla Commissione, Google ha fatto sapere che non aggiungerà un sistema di controllo delle notizie ai risultati di ricerca e ai video su YouTube.
Google “si ritirerà da tutti gli impegni sottoscritti nella sezione sul fact-checking del Codice prima che questo diventi un Codice di condotta all’interno del Dsa”, ha scritto Kent Walker, presidente degli affari globali della società.
Tra i sistemi alternativi adottati, Walker ha ricordato che lo scorso anno YouTube ha adottato un servizio simile alle community notes di X.
🧵 Addio Facebook e Instagram: è ora di ricostruire le nostre case digitali | @ariannaciccone.bsky.social www.valigiablu.it/facebook-ins… via @valigiablu.it
— Valigia Blu (@valigiablu.it) 25 gennaio 2025, 08:18
Le reazioni dei giornali
Intanto, le testate giornalistiche stanno iniziando a reagire alle decisioni dei social media di allentare il controllo sulla disinformazione.
Dopo il Guardian, anche il quotidiano francese Le Monde ha lasciato X lo scorso 20 gennaio, il giorno dell’inaugurazione della seconda amministrazione di Donald Trump negli Stati Uniti.
Nella giornata di ieri, il famoso blog collettivo e sito di informazione e fact-checking italiano Valigia Blu ha annunciato che lascerà le piattaforme del gruppo Meta – Facebook e Instagram.
“Il punto cruciale non sono i regolamenti e i programmi, ma le ragioni politiche e l’ideologia alla base di queste nuove regole”, ha scritto la fondatrice Arianna Ciccone.
Valigia Blu aveva già sospeso la sua attività su X a ottobre dello scorso anno.