Perché le aziende americane vogliono e devono avere buoni rapporti con Trump

Di il 27 Gennaio, 2025
Musk Zuckerberg Pichai CEOs attending Trump inauguration. Photo FMT Free
Con il presidente lo scontro aperto non paga e i grandi gruppi vogliono evitare che le possibili proteste dei dipendenti complichino i rapporti con la Casa Bianca

È arrivata da Davos la prima dimostrazione del perché alle grandi aziende americane convenga fiancheggiare Donald Trump.

Durante il suo intervento al World Economic Forum, il presidente degli Stati Uniti ha difeso le big tech criticando l’Unione Europea per averle sanzionate con multe miliardarie.

In particolare, Trump ha menzionato una sentenza che ordinava ad Apple di versare una compensazione di 13 miliardi di euro allo Stato irlandese. La Corte di giustizia europea aveva infatti certificato la posizione dominante del gruppo californiano in Irlanda, dove aveva una condizione fiscale vantaggiosa.

Aziende come Amazon, Apple, Google, Meta, e X possono sfruttare la vicinanza con il presidente per spingerlo a contrastare la resistenza europea, che ha un approccio molto più regolamentato rispetto a quello degli Stati Uniti, soprattutto in ambito tecnologico e digitale.

E, così, sperare anche di evitare di pagare le sanzioni già imposte in Unione europea ed evitarne di nuove.

Qualcosa è cambiato

Il discorso di Trump a Davos è solo un assaggio, un piccolo esempio di come le società statunitensi abbiano adottato una strategia di non ostilità nei confronti del presidente repubblicano.

Il giorno dell’inaugurazione della nuova amministrazione, c’erano tutti. Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Tim Cook, Sundar Pichai, amministratore delegato di Google, e Shou Chew, a capo di TikTok.

È troppo semplice, scrivono sul Time Jeffrey Sonnenfeld e Steven Tian dell’università di Yale, liquidare questo cambiamento soltanto con la tesi secondo cui si tratterebbe di una svolta politica di convenienza per tutelare i propri interessi.

È una parte della spiegazione, ma non esaustiva, sostengono. I vertici dei più grandi gruppi incontrano Trump, così come avrebbero fatto con ogni altro presidente, per aggiornarlo sulle esigenze più pressanti riguardanti i loro settori di competenza e l’economia americana e influenzare la sua agenda politica.

“Gli americani di ogni orientamento politico dovrebbero sostenerli”, si legge sul Time.

L’entusiasmo degli amministratori delegati deriva dalla consapevolezza che l’inquilino alla Casa Bianca dei prossimi quattro anni la pensa come loro su sgravi fiscali, deregolamentazione, presenza troppo pressante dell’antitrust e l’urgenza di ridurre il costo dell’energia.

Tuttavia, sanno anche che ci sono argomenti sui quali sono in contrasto contro le tradizionali posizioni di Trump e l’unico modo per farsi ascoltare e convincerlo a cambiare opinione è instaurare una comunicazione aperta e sincera con il presidente.

In altre parole, Trump è influenzabile e questa sua volubilità può – e deve – essere sfruttata.

Ad esempio, ha già cambiato idea sulle criptovalute e sui visti di tipo H-1B per le assunzioni di lavoratori esperti da altri Paesi, dei quali era parecchio critico.

Trump inaugurazione inauguration. Foto FMT

Trump durante la cerimonia di inaugurazione per il suo secondo mandato. Foto: FMT.

Le aziende farmaceutiche hanno capito

Di recente, Trump ha preso le distanze da Stefanie Spear e l’avvocato Aaron Siri, due collaboratori di Robert Kennedy, noti per le loro opinioni scettiche nei confronti dei vaccini.

Attuare politiche estreme in ambito sanitario, in particolare nei confronti delle vaccinazioni, potrebbe costare all’amministrazione una perdita di consensi in vista delle elezioni di metà mandato del 2026, sostiene lo staff del presidente.

Intanto, però, anche i grandi gruppi farmaceutici hanno messo in atto un atteggiamento di apertura nei confronti del nuovo governo. E non da ora, ma da prima delle elezioni di novembre.

Sempre a Davos, Sally Susman, responsabile per le relazioni aziendali di Pfizer, ha detto all’evento di Axios che gli Stati Uniti stanno andando incontro a un “cambiamento epocale” al quale bisogna partecipare per sostenere le proprie istanze.

“È un nostro obbligo, è nostra responsabilità impegnarci con l’amministrazione Trump, allo stesso modo in cui ci impegneremmo con l’amministrazione Biden”, ha aggiunto Susman.

Questa apertura sta già dando i primi frutti, dato che, dopo gli incontri fra Trump, lo stesso Kennedy e i dirigenti delle principali aziende farmaceutiche, il presidente si è guardato bene dall’attaccare i grandi gruppi del settore.

Se l’è presa invece con i pharmacy benefit manager, gli intermediari che negoziano i prezzi dei farmaci per le compagnie assicurative.

“Paghiamo troppo i farmaci. Abbiamo leggi che rendono impossibile diminuire i costi e abbiamo una cosa chiamata intermediario”, ha detto Trump in conferenza stampa lo scorso dicembre. “L’orribile intermediario che guadagna, francamente, più delle aziende farmaceutiche e non fa nulla se non essere un intermediario”.

Il presidente ha esentato i gruppi farmaceutici da potenziali responsabilità per gli alti costi delle medicine e ha trovato un nuovo capro espiatorio. “Elimineremo gli intermediari”, ha aggiunto.

Poco dopo, le azioni delle compagnie assicurative sanitarie sono crollate.

Non si parla di politica

Trump può, allo stesso tempo, complicare le cose e aprire grandi possibilità a chi sa come prenderlo.

È necessario, però, non opporsi a lui e non contraddirlo apertamente.

Le aziende lo hanno capito e hanno agito di conseguenza.

Hanno informato in maniera preventiva i propri dipendenti, esortandoli a evitare l’attivismo e le proteste che avevano caratterizzato gli anni del suo primo mandato.

Susman ha sottolineato l’importanza di essere chiari fin da subito con chi lavora nella società. Il reparto di comunicazione interna di Pfizer sta adottando un approccio proattivo sulle questioni sociali e politiche per evitare fraintendimenti e lamentele

“Non aspettate i risultati delle elezioni per dire alle persone che vi state impegnando con i governi”, ha affermato sul palco di Davos. “Ditelo in anticipo, perché tutti stanno pensando a quello e vi faranno domande in proposito”.

Nel caso delle big tech, la questione è molto delicata poiché, come ricorda il New York Times, la maggior parte degli impiegati di queste aziende è di orientamento più vicino al partito democratico. L’ambiente di lavoro è molto politicizzato.

Il quotidiano riporta che il giorno delle elezioni Pichai avrebbe inviato una email ai dipendenti per esortarli a non parlare di politica a lavoro, facendo seguito alle linee guida introdotte già nel 2019.

Nel 2022, le risorse umane di Meta hanno condiviso alle aziende del gruppo delle regole definite community engagement expectations, sul comportamento da tenere in ufficio. Secondo il New York Times, si chiedeva di non discutere di argomenti delicati, come l’aborto, questioni legate al razzismo, guerre e, più in generale, notizie di ambito politico.

In questo contesto, la decisione di molte società di spingere per il ritorno in ufficio dei lavoratori dopo il periodo di smart working dovuto al Covid potrebbe essere funzionale per attuare le nuove direttive aziendali.

Così come l’accelerazione per ridurre o smantellare i programmi di inclusione nelle società, anche questa è una conseguenza del ritorno di Trump a Washington.

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Journalist writing on European politics, tech, and music. Bylines in StartupItalia, La Stampa, and La Repubblica. From Bologna to Milan, now drumming and writing in London.

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