L’ennesimo sviluppo sul destino di TikTok negli Stati Uniti affievolisce le speranze del social media cinese di sopravvivere nel Paese.
Lo scorso 10 gennaio, la Corte Suprema ha ascoltato per più di due ore le ragioni degli avvocati di TikTok contro l’entrata in vigore di una legge che obbliga ByteDance, la società proprietaria della piattaforma, a cedere la divisione statunitense del social media a un’azienda americana per continuare a operare negli Stati Uniti.
L’obiezione sollevata da TikTok e ByteDance è una presunta violazione del primo emendamento della Costituzione statunitense che tutela la libertà di espressione.
Motivazione che, secondo quanto è emerso dall’incontro e in base al parere di esperti della materia, non avrebbe convinto la Corte Suprema.
Non a caso, titola Wired, “il ban di TikTok è più vicino che mai”.
I nove giudici della Corte Suprema, scrive la rivista, sembrano convinti dell’accusa, mossa dal Dipartimento di Giustizia del governo di Washington, secondo cui l’app rappresenterebbe un pericolo alla sicurezza nazionale.
La ragione principale è il controllo che il governo cinese esercita su ByteDance. Di conseguenza, Pechino potrebbe ottenere l’accesso ai dati personali di 170 milioni di cittadini americani.
In più, TikTok potrebbe essere utilizzato per scopi propagandistici, al fine di influenzare la percezione che gli americani hanno dell’esecutivo cinese.
In futuro, il Dragone avrebbe quindi la possibilità di sfruttare la piattaforma per tutelare i propri interessi commerciali, penalizzando quelli statunitensi o, ancora peggio, influenzare l’opinione pubblica statunitense su temi sensibili.
Non si tratterebbe di una scelta volta a censurare eventuali contenuti non graditi condivisi su TikTok – in quel caso sì, si infrangerebbe il primo emendamento. Il punto focale è invece il controllo della piattaforma, sottolinea il New York Times.
Il quotidiano evidenzia anche la composizione della corte d’appello che nei mesi scorsi ha bocciato il ricorso dei legali di TikTok – tre giudici di estrazione politica diversa, uno nominato dal conservatore Ronald Reagan, un altro dal democratico Barack Obama e una nominata da Donald Trump. Tutti sono concordi sui rischi posti dalla piattaforma.
Se divieto sarà
I membri della Corte Suprema sono scettici sulle argomentazioni portate da TikTok.
Brett Kavanaugh, uno dei giudici, è preoccupato della possibilità che la Cina raccolga i dati di quelli che oggi sono adolescenti americani ma, un domani, potrebbero ricoprire importanti posizioni a livello privato o istituzionale.
Il Dragone, sostiene Kavanaugh, potrebbe usare le informazioni di queste persone “per reclutare spie, corrompere o ricattare persone” che nei prossimi anni potrebbero lavorare per l’Fbi, la Cia o il governo.
A TikTok restano comunque due possibilità, seppure siano ora diventate strade più difficili da seguire. La prima, complicata, è che la Corte Suprema voti per bloccare la legge, firmata lo scorso anno da Joe Biden, che impone la vendita o il ban della piattaforma.
La seconda è posticipare l’entrata in vigore della legge, lasciando a Donald Trump l’onere di sistemare la faccenda. Ed è quello che Trump stesso ha chiesto ai giudici.
Qualora il divieto diventasse operativo, accadrebbero due cose.
Chi ha già scaricato TikTok e possiede un profilo, potrà continuare a utilizzarlo. Tuttavia, non potrà più aggiornare l’applicazione, poiché il divieto punisce le società tecnologiche proprietarie degli app store con una multa di cinquemila dollari per ogni download dell’applicazione.
Una cifra troppo alta che porterebbe Google, Apple e le altre compagnie a rimuovere TikTok dai loro negozi digitali. Non ci sarà più la possibilità, quindi, di scaricare l’app.
Le stesse sanzioni per ogni utente si applicano agli accessi di TikTok dai motori di ricerca di internet.
In sostanza, TikTok morirà a poco a poco, in modo simile a quanto accaduto in India dopo il divieto della piattaforma imposto prima nel 2019 e, in maniera definitiva, nel 2020.
Che ne sarà dei creator
Le maggiori conseguenze ricadrebbero su chi usa TikTok per lavorare.
Secondo proprie stime, il social media afferma di aver contribuito per 24,2 miliardi di dollari al Pil statunitense nel 2023, tramite inserzioni pubblicitarie e visualizzazioni. Si aggiungerebbe poi un valore ulteriore di 8,5 miliardi dovuto alle operazioni gestite direttamente dalla piattaforma.
Se la divisione statunitense di TikTok chiuderà, ha aggiunto la piattaforma, ci sarà un danno finanziario di oltre un miliardo di dollari per le piccole imprese e 300 milioni per i creator che sul social media lavorano.
Il segreto di TikTok per coloro che la utilizzano per condividere i propri contenuti è l’efficacia del suo algoritmo.
È infatti improbabile che Pechino autorizzi la vendita del ramo americano della piattaforma compresa del famoso algoritmo.
Per questo motivo, il primo potenziale acquirente locale, il consorzio Project Liberty guidato dall’imprenditore immobiliare Frank McCourt, ha avanzato la prima offerta ufficiale per l’acquisto della divisione statunitense senza includere l’algoritmo della piattaforma.
Il suo scopo, ha detto McCourt, è fornire TikTok di una tecnologia alternativa americana, capace di salvaguardare i dati degli utenti e permettere ai creator di continuare a guadagnare dalla piattaforma.
Il sistema regge
Negli ultimi mesi, Donald Trump ha provato a prendersi la scena anche sulla vicenda TikTok, passando dal voler chiudere la piattaforma – ci ha provato nel 2020, durante il suo primo mandato – a volerla salvare.
Il presidente eletto non ha mai disconosciuto i potenziali rischi per la sicurezza nazionale. Ma, sosteneva a marzo dello scorso anno, meglio salvare il social media cinese che aiutare Mark Zuckerberg eliminando un diretto concorrente.
Facebook è “nemico del popolo”, aveva detto.
Ora, le cose sono cambiate. La scorsa estate, Zuckerberg ha iniziato un’operazione di riavvicinamento a Trump che ha avuto il suo apice con la decisione di rimuovere i sistemi di fact-checking indipendenti dalle piattaforme di Meta, sulla falsa riga di quanto fatto da Musk su X.
Trump, dunque, potrebbe cambiare idea su Facebook e Instagram o, perlomeno, smettere di ritenere il salvataggio di TikTok una mossa necessaria per non agevolare Meta.
Il parere del presidente eletto potrebbe però essere soggetto anche alle influenze dei suoi collaboratori e finanziatori, alcuni dei quali – come l’ex sottosegretario Tony Sayegh o il miliardario Jeff Yass – hanno interessi diretti in TikTok e ByteDance e vorrebbero salvare il social media dal divieto che incombe.
A prescindere dal futuro verdetto ufficiale, l’esito dell’udienza dei legali di TikTok alla Corte Suprema mostra comunque un segnale rassicurante sulla tenuta delle istituzioni americane – da non sottovalutare, dati i tempi che corrono.
Nonostante le pressioni di Trump per influenzare il giudizio della corte e sospendere l’applicazione della legge, i giudici dimostrano di agire in maniera indipendente su una questione cruciale, assicurando l’imprescindibile principio democratico della separazione dei poteri.