L’impatto della disinformazione sul settore privato

Di il 09 Gennaio, 2025
I contenuti falsi, sempre più spesso generati con l'intelligenza artificiale, rappresentano un rischio non solo per le istituzioni ma anche per le aziende

Si parla spesso degli effetti, veri e presunti, che la disinformazione causata dall’intelligenza artificiale può portare sulle istituzioni e sugli eventi pubblici, a partire dalle elezioni. Ma questo fenomeno può impattare in modo rilevante – e lo fa sempre più spesso – anche sul settore privato.

Innanzitutto, le aziende devono fare i conti con le conseguenze che le falsità diffuse online possono avere sulla propria reputazione. È sufficiente pensare ai contenuti deepfake, come foto e video, sottolinea il Financial Times.

Il quotidiano britannico cita un sondaggio condotto da Edelman su quasi 400 top manager negli ambiti della comunicazione e del marketing, secondo il quale otto intervistati su dieci sono preoccupati per l’impatto della disinformazione generata dall’intelligenza artificiale su vari aspetti delle loro società. Meno della metà si sente in grado di individuare, anticipare e gestire queste minacce.

disinformazione sinistra usa

disinformazione sinistra usa

Disinformazione, in che senso

Il termine disinformazione identifica diversi tipi di fenomeni distinti nelle modalità e negli intenti.

La misinformazione riguarda gli errori compiuti in modo non intenzionale. La malinformazione, invece, è la propagazione di notizie vere ma comunicate di proposito in modo fazioso o decontestualizzato per causare danni e confusione.

A moltiplicare l’effetto della disinformazione sono i social media, tramite profili falsi, notizie non vere o riportate in modo scorretto attraverso audio, immagini, video e testi modificati o inventati.

In questo contesto, le potenzialità dell’intelligenza artificiale aumentano sia i potenziali effetti, sia la facilità con cui questi contenuti possono essere diffusi.

Una ricerca del Prague Security Studies Institute distingue invece tre tipi di attori che creano disinformazione, in particolare sui social media.

Il primo è quello dei troll, che attaccano aziende per il gusto di farlo o per motivi ideologici.

Ne è un esempio il caso di 4Chan che, alcuni anni fa, ha messo in giro la voce falsa che Starbucks avrebbe offerto bevute gratuite ai migranti irregolari negli Stati Uniti.

Di recente, ricorda il Financial Times, Arla Foods, proprietaria di una delle maggiori cooperative casearie britanniche, ha subito accuse infondate per aver aggiunto un additivo nell’alimentazione delle mucche da latte per ridurre le emissioni di metano.

Lo studio individua poi i cosiddetti profiteers, gli speculatori, che promuovono la disinformazione contro le aziende per ricavarne un guadagno economico. Una delle pratiche più comuni è la produzione di contenuti click-bait.

Esistono infine minacce che originano da gruppi dediti alla disinformazione in rete supportati da Stati nemici, allo scopo di danneggiare società straniere che, con i loro prodotti, potrebbero entrare in competizione e intralciare gli interessi nazionali del loro Paese.

Di fronte questi rischi, sostiene Jack Stubbs, responsabile dell’intelligence di Graphika, una compagnia specializzata nelle analisi dei social media, diventa cruciale per le aziende saper mappare e controllare le fonti da cui originano i contenuti fuorvianti.

A questo, evidenzia il Financial Times, si aggiunge la capacità di costruire una reputazione solida e credibile del proprio marchio, in grado di resistere agli urti della disinformazione. Più facile a dirsi che a farsi.

Devi essere loggato per lasciare un commento.