Le elezioni presidenziali americane del 2024 si muovono in un terreno irregolare, simile a un mosaico di specchi in cui ogni pezzo riflette una parte diversa della realtà. I media tradizionali, un tempo colonne portanti del panorama informativo, stanno cedendo il passo a una costellazione di piattaforme alternative, ciascuna con il proprio linguaggio e pubblico. La campagna elettorale americana è quindi uno spettacolo di frammenti, dove youtuber, podcaster, influencer e comici “bro” diventano attori chiave accanto alle testate storiche. In altre parole, stiamo assistendo alle prime elezioni dell’era della frammentazione dei media, un’era che cambia le regole del gioco per i candidati e gli elettori.
Il declino dei colossi dell’informazione, come le reti televisive via cavo e i grandi giornali, è ormai evidente. Mentre testate come il Washington Post e il New York Times faticano a trattenere gli abbonati conquistati negli ultimi anni, piattaforme come TikTok, Instagram e podcast indipendenti hanno preso il sopravvento. Un cambiamento che non riguarda solo la modalità di fruizione delle notizie, ma anche come queste vengono raccontate al pubblico.
Le campagne elettorali riflettono la nuova realtà
TikTok, con la sua popolarità tra le giovani generazioni, è stato definito “la nuova piazza globale” dall’ex tech columnist del Washington Post, Taylor Lorenz. Nell’app dei video brevi, le idee si diffondono ad una velocità spaventosa e le informazioni si trasformano in pillole virali basate sull’intrattenimento.
La transizione verso piattaforme più piccole e di nicchia ha ridisegnato il modo in cui i messaggi politici vengono veicolati. E le campagne di Donald Trump e Kamala Harris riflettono questa realtà. Trump ha scelto di comparire nel podcast più seguito in America, The Joe Rogan Experience, che ha totalizzato oltre 30 milioni di visualizzazioni con l’intervista di 3 ore al tycoon, superando di gran lunga il numero delle sue apparizioni su reti televisive via cavo come Fox News o CNN. Harris, invece, ha cercato di raggiungere il pubblico giovane femminile con Call Her Daddy, uno show molto seguito e influente. Entrambe le strategie si sono rivelate più efficaci delle apparizioni nei tradizionali programmi televisivi come “60 Minutes” o “The View”, notoriamente seguiti da spettatori più anziani.
Nuovi paradigmi
Il panorama mediatico odierno non è solo una questione di nuove piattaforme, ma di nuovi paradigmi: i meme, i video virali e le interviste informali diventano elementi che plasmano l’opinione pubblica con la stessa forza di un editoriale in prima pagina. Una trasformazione che rende complessa la comprensione della realtà, poiché ogni frammento di notizia viene assorbito da nicchie diverse, ognuna con le proprie percezioni e interpretazioni.
L’evoluzione dei media sta anche cambiando il modo in cui i candidati spendono i loro budget. La TV tradizionale, una volta pilastro delle campagne elettorali, sta perdendo terreno. L’investimento nelle piattaforme digitali evidenzia come la strategia di comunicazione stia seguendo l’andamento di un fiume che si ramifica in molteplici canali, ognuno diretto verso un pubblico specifico.
I media tradizionali
Jeffrey Katzenberg, celebre manager di Hollywood e co-presidente della campagna di Kamala Harris, ha spiegato l’attuale contesto mediatico con una metafora incisiva: i media tradizionali sono la cima della cascata, ma l’acqua si disperde in mille rivoli prima di arrivare al pubblico. Sebbene i giornali e le emittenti storiche possano ancora determinare la direzione del flusso, la sua distribuzione finale è nelle mani di piattaforme nuove e dinamiche.
Il risultato delle elezioni potrebbe accelerare o rallentare questa transizione. Se Trump dovesse vincere, il processo potrebbe diventare ancora più rapido, consolidando un nuovo complesso mediatico dominato da figure come Elon Musk e la rete di influencer di destra. Una vittoria di Harris, invece, potrebbe significare un ritorno, seppur temporaneo, a un modello più tradizionale.
Se da un lato l’avanzata della frammentazione dei media sembra inevitabile, dall’altro non sono così convinto che sia un punto di non ritorno. Questa campagna ha aperto le porte a dubbi oggi difficilmente risolvibili: un dibattito di 90 minuti conta più delle clip virali che produce? Un grande discorso è più efficace di un podcast? Cosa sa effettivamente il pubblico? Dove nascono le narrazioni più efficaci?